La questione apostrofi e accenti in italiano è un po’ spinosa.
Non solo per un fatto puramente grafico – sono entrambi segni piccoli che alla fine si somigliano pure, che vuoi che sia scambiarli –, ma anche perché non è perfettamente chiaro quando siano necessari o meno.
In sostanza, l’accento tonico si chiama così, non perché abbia un paio di chiappe d’acciaio, ma perché indica che dobbiamo pronunciare la sillaba su cui è posto con una maggiore intensità della voce.
L’apostrofo invece individua una perdita, una mutilazione: una parte della parola che se n’è andata. Questo fenomeno si chiama ELISIONE ed è rappresentato da una lacrima in alto, a segnalare il dolore di quella separazione.
Il problema è che, a volte, per evitare fraintendimenti, soprattutto con i monosillabi, l’accento diventa una questione soltanto convenzionale. Ed è lì che è difficile scegliere se usarlo o meno.
Prendiamo ad esempio un contesto linguistico a cui sono particolarmente affezionata, le scritte sui muri.
Spesso possiamo trovare espressioni come: CHICCA LA DA A TUTTI.
Ecco, l’errore in questa frase ne riduce la forza e vanifica l’intento divulgativo per cui lo scrivente ha deciso di appuntarla sul fianco di un palazzo.
Il monosillabo “DA” infatti ha diverse funzioni e così, nudo, senza accenti né apostrofi, è solo una preposizione semplice, come nella frase MATTIA, TORNA DA ME!
Invece quella consona per il murales sopra citato è accentata: CHICCA LA DÀ A TUTTI. Indicativo presente, il modo, per altro, delle cose vere e certe.
Insomma, caro scrivente, mago della bomboletta, se vuoi denigrare Chicca con successo, fallo nel modo giusto.
Altra storia è la forma con l’apostrofo: POLITICO X, DA’ LAVORO AI COMPAGNI OPERAI! In questo caso, l’apostrofo segnala un altro modo verbale, l’imperativo, quello degli ordini e delle esortazioni. Dunque il nostro segno grafico occorre, non solo per una questione distintiva, ma anche per segnalare che quel verbo ha perso tragicamente una I. DA’ = DAI.
Spiegata questa regola, ora può sembrare facile. E invece non tutti i monosillabi si comportano allo stesso modo.
GIOVANNINO FA SCHIFO
In questo caso la forma è corretta. FA, coniugato all’indicativo presente, non necessita dell’accento perché non deve combattere con nessuna forma omografa (cioè che si scrive allo stesso modo, ma ha un significato diverso).
Sì, esiste la nota musicale (DO RE MI FA…), ma il contesto ci aiuta a capire che quel Giovannino non è certo giudicato per il suo un solfeggio cantato.
Per ordini, esortazioni e preghiere invece resta valida la regola precedente: DIO, FA’ CHE MI PROMUOVANO! à FA’ = FAI.
In generale, anche per gli altri monosillabi, possiamo seguire questo principio generale: se non c’è ambiguità, se non hanno perso pezzi, se non hanno un gemello con cui fronteggiarsi, possiamo lasciarli scoperti, senza cappello.

Su QUI e QUA l’accento non ci va. Ma questo lo sappiamo fin dalle elementari.
L’errore più comune che invece incontro nei temi è il FU, scritto spesso e volentieri nella sua versione punk: FÙ, con la cresta. Operazione scorretta perché del tutto inutile.
Il FU è unico nel suo genere, non ha bisogno di distinguersi, ma soprattutto quell’accento non renderà quel passato, che già il monosillabo porta con sé, ancora più remoto.
L’ultima precisazione la faccio sul SÌ, fondamentale, non solo per via di Dante (l’italiano, la lingua del sì), ma proprio perché, quando diamo il nostro consenso, è importante che siamo consapevoli di quel che stiamo facendo.
I nostri telefoni, nella loro velocità, propongono per prima la forma non accentata. È lo scrivente che deve cliccare sulla tendina e scegliere la Ì corretta, quella con il cappello.
Diciamo che, se sei in macchina, stai guidando con una mano e con l’altra ti metti il mascara, mentre il tipo con un hai un appuntamento ti scrive: STAI ARRIVANDO? La cosa migliore forse è scrivere SI e non pensare alla grammatica.
(Per gli automobilisti che ci seguono da casa: la cosa migliore, in realtà, sarebbe fermarsi, o non rispondere proprio, comunque, si sa come vanno queste cose).
Il SI senza accento tendenzialmente è un pronome, che assume diverse funzioni, di cui la più espressiva e folkloristica resta quella toscana: NOI SI VA VIA, utilizzato per la prima persona plurale. Ma questo è un altro discorso.
Mentre il SÌ è un avverbio. Ha un potere pazzesco perché, seppur così piccolo, è in grado di modificare il verbo, il motore della frase.
MI VUOI SPOSARE?
SÌ.
Vedete? Un accento ti può cambiare la vita. E prima di trovarvi a condividere il letto e il conto in banca con qualcuno, badate bene di aver messo tutti gli accenti e gli apostrofi al posto giusto.

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