Te lo leggo negli occhi

Perché i poeti sembrano sempre così interessati agli occhi della donna amata?

No, la risposta non è “perché pare brutto dire che la prima cosa che guardo in una tipa è il culo”.

È la Grecia antica che codifica lo sguardo femminile come strumento di seduzione che, talvolta, è in grado di annientare completamente un uomo. Basti pensare al povero Teseo che è costretto a decapitare Medusa per non diventare di pietra.

Nei testi letterari italiani, però, questi occhi diventano una vera e propria ossessione. Feticismo degli occhi, esiste tra le parafilie?

Nonostante non ci sia nessuno oggi che prova a vendere le foto dei propri occhi su OnlyFans, già nel XII secolo, un autore come Andrea Cappellano parlava di questo argomento.

È un po’ un outsider, perché, nonostante il volgare sia il nuovo trend letterario, lui scrive ancora in latino e, appunto, redige il “De Amore” che è una specie di vademecum per conquistare la dama del proprio cuore.

“Amor est passio quaedam innata procedens ex visione” è la definizione con cui si apre il trattato e che sostanzialmente sostiene che l’amore comincia dalla vista. E questo, sempre secondo lui, esclude dai giochi i non vedenti, perché a loro manca la condizione essenziale per l’innamoramento (a meno che, ovviamente, non fossero già innamorati prima di perdere la vista).

Oggi lo troveremmo politicamente scorretto e Facebook lo bannerebbe con stigma d’infamia. Diciamo però che Cappellano aveva altri pregi, come aver codificato per primo i canoni dell’“amor cortese” ed aver considerato, dell’amore, anche l’aspetto sensuale, erotico che, sappiamo, anche oggi non guasta mai.

Alla corte siciliana di Fede II, c’era invece un “notaro” di nome Jacopo da Lentini (che tra l’altro è un grande perché ha inventato il sonetto), che diceva che l’occhio è come uno specchio: sulle pupille si imprime l’immagine della donna amata che poi arriva fino al cuore e lì viene incisa. Insomma, aveva inventato anche le fotografie in netto anticipo. Celebri i suoi versi: “Amore è uno desio che ven da core | per abondanza di gran piacimento; | e li occhi in prima generan l’amore | e lo core li dà nutricamento”. Gli occhi, dunque, continuano ad essere la genesi, l’inizio di tutto il processo di innamoramento.

Ovviamente, poi, non si può affrontare questo argomento senza citare la voce di Dante: “Tanto gentile e tanto onesta pare | la donna mia, quand’ella altrui saluta, | ch’ogne lingua devèn, tremando, muta, | e li occhi no l’ardiscon di guardare”.

Beatrice, si sa, è più vicina a Dio che agli uomini, dunque Dante si guarda ben bene dal dire cose tipo “che pezzo di figa”. Eppure anche lei, seppur effimera, passa attraverso gli occhi: intanto “pare”, cioè appare. Il primo senso chiamato all’ordine è proprio quello della vista. E poi sono gli occhi degli altri che non hanno il coraggio di incontrare i suoi, proprio come davanti a una manifestazione divina.

Guido Cavalcanti, invece, mostra una posizione più estrema: “Voi che per li occhi mi passaste ’l core”. Qui gli occhi diventano una specie di pugnale, o una lancia. Sono pericolosi perché sono capaci addirittura di trapassare il cuore e fare un buco che manco i dottori di Grey’s Anatomy riuscirebbero a ricucire.

Non vorrei mai conoscere le tipe che frequentava Guidino…

Provate poi a cercare in un pdf del “Canzoniere” di Petrarca la parola “occhi” e vedrete che ricorre 303 volte (senza contare i sinonimi). Dunque potremmo dire che sia tipo il massimo esperto dell’argomento.

Lui, friendzonato, non soffre solo per l’umore mutevole della sua amata Laura, ma anche perché lei, a differenza delle donne-angelo dei tempi, invecchia e muore: “Erano i capei d’oro a l’aura sparsi | che ’n mille dolci nodi gli avolgea, | e ’l vago lume oltra misura ardea | di quei begli occhi, ch’or ne son sì scarsi;”.  

Qui vediamo il contrasto tra gli occhi della giovane donna amata, che sono così pieni di passione, e gli stessi della versione di lei più matura, che sono invece spenti.

Non accusiamolo di ageismo, però. Nel medioevo le fanciulle erano solite morire tragicamente molto giovani, per essere poi piante dai loro amanti scrittori, quindi non c’è da stupirsi se questo poeta ci rimane male.

Finito il medioevo, il feticismo per gli occhi non passa, nonché la mania della poetica dello sguardo.

Leopardi, nello “Zibaldone”, ci parla di una specie di “doppia vista”: “All’uomo sensibile e immaginoso, che viva, come io sono vissuto gran tempo, sentendo di continuo ed immaginando, il mondo e gli oggetti sono in un certo modo doppi. Egli vedrà cogli occhi una torre, una campagna; […]; e nel tempo stesso coll’immaginazione vedrà un’altra torre, un’altra campagna […]. Trista quella vita [… ] che non vede, non ode, non sente se non che oggetti semplici, quelli soli di cui gli occhi, gli orecchi e gli altri sentimenti ricevono la sensazione.”

In sintesi Leo mette in campo una seconda vista, che è l’immaginazione, e con quella, in sostanza, si può vedere tutto quel che si vuole.

Il tema “femmine” non è presente in lui come in altri suoi colleghi, ma ci resta pur sempre la sua Silvia. Lui la guardava dalla finestra, ma nel componimento a lei dedicato non la descrive, se non con qualche rapida pennellata che per lo più riguarda sempre la stessa parte anatomica: “gli occhi tuoi ridenti e fuggitivi”.

L’espressione qui è anche un ossimoro. Questi occhi di per sé sono particolari perché sono una contraddizione, sono al tempo stesso allegri e schivi, il prototipo perfetto della donna impossibile.

D’Annunzio, che invece di donne ne sapeva, e pure di aspetto gradevole a quanto pare, a un certo punto, in seguito a un incidente aereo, è costretto a un periodo di cecità: “Ho gli occhi bendati. Sto supino nel letto, col torso immobile, col capo riverso, un poco più basso dei piedi”, scrive appunto nel suo “Notturno”. È aiutato dalla figlia che gli prepara delle striscioline di carta che gli permettono di scrivere comunque, senza andare fuori dai margini.

Una sfiga del genere proprio a lui, che era stato per eccellenza il poeta degli occhi, del bello, delle sensazioni alte e preziose. Eppure questa cecità gli impone di cambiare punto di vista (e scusate il brutto gioco di parole). Scrive frasi brevi, essenziali, rinuncia ai fronzoli, comprende la debolezza e racconta così di un’epoca, il Novecento, che, come lui, sembra aver perso la vista.

Anche Montale, quanto a donne, si dà abbastanza da fare. Non mi soffermerò sullo sguardo di Clizia – su cui si può contare per resistere alla brutalità della guerra. Per quanto significativo, da sempre io parteggio per quello di Mosca.

Mosca, l’anziana moglie che non ci vedeva un tubo. Me la immagino spesso camminare incerta con le sue spesse lenti bifocali. Eppure lei era dotata di una vista preclusa al nostro poeta.

“Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio | non già perché con quattr’occhi forse si vede di più. | Con te le ho scese perché sapevo che di noi due | le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate, | erano le tue.”

Probabilmente Cappellano non sarebbe d’accordo, ma Mosca, seppur miope, era l’unica che riusciva a vedere le cose per quel che erano davvero. Gli occhi sono importanti, certo, ma gli occhiali di più.

Arriviamo a Pavese, sempre allegro, che ci diletta con il suo famoso: “Verrà la morte e avrà i tuoi occhi”. Che ve lo dico a fare? Scrive in seguito a un’infelice storia d’amore. Ci sono occhi che ti possono anche ammazzare: lo sapeva Cesare, lo diceva, settecento anni prima, Cavalcanti e continuiamo a sperimentarlo ogni giorno pure noi comuni mortali.

Alda Merini pare d’accordo: “Paura dei tuoi occhi, | di quel vertice puro | entro cui batte il pensiero, | paura del tuo sguardo | nascosto velluto d’algebra | col quale mi percorri,”. Per questioni contingenti lei è l’unica donna qui citata. Proprio per questo motivo non ci stupisce che lo sguardo su di lei venga descritto come una specie di radiografia: gli scrittori maschi non erano abituati a sentirsi addosso uno sguardo di questo tipo, probabilmente.

Insomma, quello degli occhi è un tema che attraversa i secoli e si ripresenta ogni volta nuovo e pure uguale a se stesso.

Forse non avevo mai compreso perfettamente il motivo di tutte queste fregnacce sugli occhi.

Poi è arrivato lockdown, che tutti ricordiamo tragicamente.

Allora, molti di noi, per avere a che fare con la donna amata avevano solo a disposizione gli occhi, appunto, e uno schermo del pc, che quegli occhi li faceva pure lacrimare.

C’è chi dice che il lockdown per i sentimenti sia stato come un evidenziatore. Io dico che lo sono stati gli occhi.

A quel punto, infatti, senza fronzoli, proprio come diceva Cappellano, attraverso il solo sguardo, molti hanno capito, nel bene e nel male, cosa desideravano veramente. 

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