È inutile, gira e rigira, quando si parla di grammatica, alla fine si arriva sempre allo stesso stallo: chi decide cosa si può dire e cosa no?
Ci sono le regole è vero, ma di solito l’uso batte sempre la norma.
Per questa ragione oggi affronterò un tema delicato che è l’uso del complemento oggetto con i verbi intransitivi.
“Esci il cellulare o ti sparo”, per intenderci. Abitudine, prevalentemente dell’Italia meridionale, avvertita spesso come buffa o, peggio, ignorante.
Certo, ora spiegherò perché è una scelta sbagliata, ma, perdonatemi fin da subito, elencherò anche i suoi pregi.
Partiamo dalla differenza tra verbi TRANSITIVI e INTRANSITIVI.
Sembrano concetti impossibili, ma in realtà, l’etimologia ci aiuta. Il significato del verbo latino “transeo” è “portarsi da un luogo all’altro”. Quindi si tratta solo di capire dove si può attraversare e dove è meglio di no. Immaginate una strada, se non ci sono le strisce pedonali, attraversare, non solo è sconsigliato, ma è proprio vietato, perché c’è il rischio che un autoarticolato ti stiri. La stessa cosa avviene con i verbi.
Quelli transitivi ammettono il complemento oggetto, l’unico diretto, senza preposizioni o lavori in corso in mezzo. L’azione transita, cioè passa, dal soggetto al complemento oggetto, senza palette rosse del vigile.
“Genoveffa bacia Gianmaria.”
Facile: il bacio, raccontato da questo verbo, vola dalle labbra di Genoveffa a quelle del suo oggetto, ossia Gianmaria.
Diversa è la questione per i verbi intransitivi, perché non hanno alcun materasso sui cui cadere.
“Giovannino cammina.”
Non possiamo chiederci cosa cammini il soggetto di questa frase. Al massimo come cammini o dove se ne vada. Per questo siamo di fronte a un verbo intransitivo, perché l’azione non passa, c’è divieto di transito e rimozione forzata in caso di sosta.
L’unica eccezione a questa regola sono gli intransitivi con l’oggetto interno, ossia con un complemento diretto che condivide la stessa radice o lo stesso significato del verbo che lo accompagna, come “Dormire sonni agitati” o “Vivere o una vita di merda”, che spesso sono esempi utili ai depressi come me.
Al tempo stesso, però, esistono forme come quella che ho citato all’inizio, scorrette, ma assolutamente affascinanti, proprio come un amore tossico.
“Scendo il cane che lo piscio.”
Se seguiamo la regola, l’esempio è fortemente sbagliato, non solo per la volgarità gratuita del secondo verbo, ma anche perché entrambi nascono senza complemento oggetto.
Però, da parlante, più che da amante della grammatica, devo spezzare una lancia a favore di questa forma.
“Porto di sotto il cane, così gli faccio i fare i bisogni”, ecco la modalità esatta, nonché ripulita dal turpiloquio.
Ma, detto tra noi, vogliamo mettere?
L’agilità e la schiettezza della prima forma, batte nettamente la seconda. È più chiara, espressiva, nonché divertente e, diciamocelo, ridere resta sempre l’opzione migliore, quando si può scegliere.

E allora, impariamo la regola, ma lasciamoci andare e smettiamo di scandalizzarci davanti a frasi come: “Portami il bambino che lo gioco” o “Mangi qui o vieni già mangiato?”
Del resto anche l’inglese, lingua smart per eccellenza, usa espressioni come “I walk the dog” che, alla lettera significa: “Io cammino il cane”.
E se non vi basta, vi cito anche degli esempi letterari: Montale con il famosissimo “Ho sceso […] almeno un milione di scale”, o, sempre lui, ma meno noto: “Ripenso il tuo sorriso” che abbatte persino le barriere del pensiero, oltre alle preposizioni.
Poi Primo Levi che ne “La tregua” dice: “Mi sentivo scarico, come un fucile sparato” che, se ci pensiamo, è ancora peggio perché, non solo qui c’è l’uso transitivo del verbo “sparare”, ma è coniugato al participio passato con valore passivo. E in grammatica il passivo con i verbi intransitivi è come una bestemmia in chiesa.
Questa espressione, però, per Primo Levi, rende bene, in modo sintetico, la sensazione devastante, dopo l’esperienza del campo di concentramento. E non è sostituibile con qualcosa di altrettanto efficace.
La lingua è nostra amica e le possibilità sono infinite. Quando scriviamo o parliamo siamo i capi di noi stessi, siamo i registi della comunicazione. E allora parliamo senza paura di essere giudicati.
Stephen King, che prima di essere uno scrittore era un insegnante di grammatica, a proposito di vocabolario, diceva “Come disse la ragazza al vecchio marinaio: non è quanto ne hai, ma come lo usi”
E allora, scendiamoli ‘sti intransitivi.

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