Attenzione, questo non è un post di storia, anche se, inavvertitamente o meno, di storia si finisce per parlare sempre. Questo è un pezzo sulle parole e su un uomo che ha scelto quelle giuste e così è diventato imperatore.
Vi ho parlato in diverse occasioni del romanissimo Augusto, tanto che forse penserete che nutro una specie di ossessione per lui. Be’, anche volendo, non potrei stalkerarlo perché lui è morto nel 14 d.C. e, quando era in vita, non è sempre stato così limpido, né nella vita privata, né in quella pubblica.
Di sicuro lo ammiro, perché, in un periodo storico in cui bastava un sussurro e ti accoltellavano in senato, lui trasforma Roma in un impero senza che nessuno se ne accorga. La sua unica arma? Le parole. Ed è la ragione per cui, rispetto a tutti i morti ammazzati che l’hanno preceduto, lui spira serenamente nel suo letto, ultrasettantenne.
Cominciamo dall’inizio: in realtà Augusto si chiama Ottaviano, che è un nome un po’ pacco, ma del resto lui faceva parte dell’illustre gens “Iulia”, quindi c’erano già troppi Giulio e Giulia in famiglia. Pensate che casino per le nonne al pranzo di Natale, anzi, rimaniamo nel tempo, alle feste in onore del dio Mitra.
Dunque il nome è la prima parola da cambiare. Nel ’27 a.C. Ottaviano organizza una cerimonia pubblica che è una specie di pagliacciata, in cui formalmente restituisce il potere al senato. Il potere in quell’epoca era una questione complicata, perché veniamo da un lungo periodo in cui i politici facevano di tutto per accrescere il proprio prestigio personale e poco per il bene comune. E il senato muto. Ci provava eh a interrompere questa catena disastrosa, ma di fatto nessuno lo cagava.
Quando Augusto prende il potere – e lo fa lecitamente – non c’è più una forma di governo. Nel senso che formalmente Roma è ancora una Repubblica, ma di fatto tutti sanno bene, lui per primo, che questo sistema non può più funzionare. E poi, diciamolo, lui vuole fare il re, perché fa figo essere re, ma non può neanche pronunciare la parola “monarchia” senza avere contro tutto lo stato. Così ci va cauto con le scelte lessicali e appunto sono solo parole quelle che usa per comunicare a patrizi e plebei che ora il potere appartiene di nuovo al senato.

E il senato gli è pure riconoscente, dunque lo premia con un’altra parola preziosa: “Augustus” che significa “venerabile”, è un nome dal carattere sacro. Attenzione, questa espressione è importante, perché non è “venerato”, non è una dato di fatto, semplicemente il nostro politico furbetto non nega la possibilità di essere adorato. E a chi non piacerebbe?
Era una moda orientale quella di adorare il proprio sovrano come se fosse un dio, anzi, di identificarlo proprio con un dio. Ai Romani gli Orientali stanno sulle palle, perché sono molli e strani, sono gli alieni, quelli “fuori”: i Romani hanno paura di loro e li tengono alla larga perché temono che quelli possano attaccare loro “qualche folle morbo”.
Quindi Ottaviano, ora Augusto, ha un’idea intelligente, quella di convalidare la religione romana tradizionale, senza incentivare il culto dell’imperatore, semmai quello del “Genio di Augusto”, l’intelligenza del nuovo capo di stato, la sua scaltrezza. Scaltrezza ben evidente, perché basta qualche perifrasi per fregare tutti.
Non è però l’unico magheggio. Come abbiamo già detto non si può pronunciare la parola “re” e neanche dichiarare pubblicamente che la Repubblica ormai sia solo un vago ricordo. Così lui teoricamente si prende solo un potere, ossia l’”imperium” che è il comando militare. E si fa chiamare “imperator” che allora non era ancora l’imperatore, ma il comandante vittorioso. È un titolo che si può assumere senza far incavolare nessuno ed è così che fondamentalmente lui diventa imperatore: svuotando lentamente di significato di un termine e riempiendolo di altro. Questa parola cambierà con lui e avrà una nuova vita: sì, anche le parole hanno una storia e quella di “imperatore” è spettacolare.
Comunque ad Augusto non basta l’imperium, lui vuole avere tutti i poteri nelle proprie mani, questo ormai è chiaro, ma non può dichiararlo, così inventa un altro stratagemma linguistico. Si definisce “princeps”, “principe”, ossia “primus inter pares”, “primo tra i pari” che sostanzialmente non vuol dire un cazzo. Come si fa ad essere primo tra i tuoi pari senatori? O arrivi primo o arrivi pari, chiunque lo sa. Evidentemente il concetto non è chiaro ai senatori che lo lasciano fare. Un’altra espressione ambigua, che confonde.
Il suo governo di fatto prenderà il nome di “principato”, ma alla fine sarà un impero. E questa è un’altra espressione che ha un’evoluzione, perché non ha niente a che fare, ad esempio, con i Grimaldi di Monaco: Augusto non ambiva ad essere Grace Kelly, solo a governare da solo senza rotture di scatole.
Il passo successivo infatti riguarda proprio questo. Cesare, suo predecessore, aveva fatto un’enorme boiata: un colpo di stato e l’autonomina di dittatore a vita. Non si fa così, Cesare non poteva ancora intuirlo, forse, ma di solito i dittatori non fanno una bella fine.
La differenza con Augusto sta nel garbo: lui lascia a tutti i politici la loro funzione pubblica ufficialmente. I consoli, i tribuni della plebe, i magistrati, senatori… tutti mantengono il posto fisso, ma diventano delle specie di bamboline nullafacenti, perché di fatto lui stesso copre ciascuno di questi ruoli e ancora nessuno sospetta nulla.
Prima di morire adotta un generale che gli era stato amico, anche perché Augusto, di guerre, non è che ci capisse molto. Il successore si chiama Tiberio e “adottare” non significa quello che intendiamo noi oggi, ma designarlo come erede.
Tiberio sarà il primo imperatore, nel senso che sarà chiamato ufficialmente in questo modo e Roma, con lui, avrà una nuova faccia. Ovviamente questo non è merito dell’erede, ma del suo predecessore che, a suon di retorica, ha cambiato il mondo.
E allora, quando scrivete i temi, ed io vi segno alcuni termini come errori o ambiguità lessicali, non rispondetemi che una parola vale l’altra, perché le parole sono importanti, a volte le parole possono anche costruire imperi o far cadere imperatori.

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