“Parliamo di Pascoli e di sesso”
A questa affermazione in classe una mia alunna risponde: “Ma che ne sa lui!”
E in effetti non ha tutti i torti.
Ho raccontato qualcosa di Pascoli in un vecchio pezzo, facendo già allusioni un po’ pruriginose al rapporto speciale che aveva con le sorelle, soprattutto con Mariù. Continuo a non voler entrare nel merito dell’incesto, ma resto dell’idea che lui potrebbe essere rimasto vergine per tutta la vita. Qualcuno ora dice che frequentasse abitualmente i bordelli, ma vai a sapere.
Comunque sia, voi direte, “non sono cazzi tuoi”. E avete pure ragione.
Eppure, nonostante questa premessa, sono qui per analizzare uno dei testi più erotici della produzione del poeta-fanciullino, ossia “Il gelsomino notturno”.
Si tratta di un epitalamio, ossia un testo occasionale che fa parte della tradizione: Giovanni scrive per il matrimonio di un amico, tipo l’ennesimo frullatore che ricevi alle tue nozze, quando invece vorresti solo la busta.
Questa lirica, però, è fondamentale per capire il rapporto di Pascoli con il sesso, del resto anche il gossip può essere letteratura, specie se è raccontato in sei quartine di novenari a rima alternata.
Vi dico subito che non si tratta di un buon sodalizio quello di Giovannino con le camere da letto, perché oscilla tra voyeurismo, ossessione, carnalità e disgusto, che non è una buona combo, diciamocelo.
Ma andiamo più nel dettaglio.
“E s’aprono i fiori notturni,”
La metafora sesso-fiori è la più banale del genere, è quella che una volta si usava per i bambini. E non è un caso la sua presenza qui. Pascoli è l’eterno bambino che di sesso non sa parlare, se non per metafore naturalistiche. Non è un caso se i due sposi, protagonisti in teoria della lirica, appaiono solo qua e là, di sfuggita. Quindi becchiamoci api e fiori come simboli estremi di erotismo. Ovvio, ai tempi Youporn non esisteva
“nell’ora che penso ai miei cari.”
Come contraltare di una sessualità che lui non comprende fino in fondo, c’è la morte, tema su cui il nostro poeta è decisamente più ferrato, non solo per le tragiche vicende famigliari che tutti conosciamo, ma anche perché in questa raccolta la morte è martello, ossessione e mistero.
Dunque qui lui non pensa ai suoi cari a Natale, intorno a un pino decorato, ma gli vengono in mente i membri della sua famiglia che sono passati a miglior vita: un pensiero intrusivo a cui ricorrerà tante altre volte, nonostante le premesse.
“Sono apparse in mezzo ai viburni | le farfalle crepuscolari.”
I viburni sono delle piante carine, con tante foglie e fanno dei fiori bianchi. Tutto ok, se non fosse che sono circondate da falene. Le falene di per sé non sono niente di male, se non per il fatto che sono belle grosse e compaiono solo di notte (talvolta mi è capitato di scambiarle per piccoli pipistrelli e non vi dico neanche come l’ho presa…).
Comunque, in questo caso, ovviamente, Pascoli non si riferisce a falene comuni, ma a quelle chiamate “atropi”. Hanno un’origine mitica e una faccia che fa paura. Atropo è una delle Moire che, nell’antichità, tagliava il filo della vita della gente. E, per essere un po’ più al passo con la realtà, è anche quella bestiolina che, ne “Il silenzio degli innocenti” troviamo ficcata nella gola dell’ennesima vittima del killer Buffalo Bill.
Sono inquietanti, non solo per la loro dimensione, ma perché hanno una specie di teschio tatuato sulla schiena. Dunque, niente di buono. Ancora morte nel giro di quattro versi. E meno male che questo componimento doveva essere un regalo di nozze!
“Da un pezzo si tacquero i gridi: | là sola una casa bisbiglia. | Sotto l’ali dormono i nidi, | come gli occhi sotto le ciglia.”
Il procedimento retorico che si cela al di sotto di questa strofa è fenomenale, ma non cederò alla lusinga di raccontarvelo, perché è lungo. Mi basterà dire che qui si evoca un’immagine molto tenera, famigliare: la protezione dell’ala parentale che a Giovannino è sempre mancata: povero, anche lui vorrebbe essere protetto come un uccellino.
Sì, ma questa poesia non doveva parlare di sesso? Eccovi serviti:
“Dai calici aperti si esala | l’odore di fragole rosse.”
Petali a forma di calici e sinestesia: “odore” sensazione olfattiva che si mischia con una visiva: “il rosso”.
Sì, okay, ma che ve lo dico a fare? Le robe “aperte”, il rosso, colore della passione. Ma non solo, c’è qualcosa di marcio, se me lo consentite. Il rosso mi fa pensare al sangue che, sì, fa pure parte del sesso, in diverse situazioni, ma non è esattamente la prima cosa a cui pensi in merito.
“Splende un lume là nella sala.”
Ecco, gli sposi: immagino un Pascoli-guardone che li spia dal giardino. Ce lo stiamo chiedendo tutti: quindi ora si scopa?
Ma no, ovvio che no:
“Nasce l’erba sopra le fosse.”
Proprio nel clou dell’azione, ecco che la morte ritorna, come una sorta di punizione divina per i pensieri impuri. Giovanni però non si è mai mostrato divorato dal senso di colpa cristiano, quindi chissà.

La strofa successiva ve la risparmio, anche perché ne ho già parlato. È incentrata sull’inadeguatezza del poeta e forse aleggia anche un rimpianto: mi sono sempre rifiutato di vivere e ora la vita non ha più spazio per me?
Non c’è tempo però per la risposta, torniamo a vedere che fanno gli sposi novelli
“Per tutta la notte s’esala | l’odore che passa col vento.”
Forse sono proprio questi i due versi più erotici, il sesso descritto come “odore” è una roba molto animale, mi piace. Giovanni però non sembra dargli un’accezione positiva, perché, lui, che è attento alle parole e soprattutto che sta fingendo di parlare di fiori, qui avrebbe dovuto dire “profumo”. “Odore” invece rimanda a qualcosa di sporco e sbagliato, l’idea che si è costruito da sé sul sesso (perché non credo che il povero papà Ruggiero abbia avuto tempo di spiegarglielo).
“Passa il lume su per la scala; | brilla al primo piano: s’è spento…”
Eh, niente, è andata così. Il lume dei due sposi che si spegne sta a indicare definitivamente che mo fanno roba, ma Pascoli censura. E un po’ come nelle serie in cui vediamo i tizi che si baciano appassionati e poi… buio, stacco ed è già la mattina successiva: entrambi ci vengono mostrati con le coperte sotto le ascelle.
“È l’alba: si chiudono i petali | un poco gualciti;”
Una mia alunna durante l’interrogazione ha detto: “Questa è una metafora della donna tutta scompaginata dopo una notte rovente”. Ho riso, ma in realtà credo che abbia abbastanza ragione.
Attenzione, attenzione, però, proprio ora, quando crediamo che sia tutto finito, ecco il colpo di scena: “si cova, | dentro l’urna molle e segreta, | non so che felicità nuova.”
Sì, avete capito bene, la tipa è rimasta incinta. Solo che Pascoli lo spiega in un modo un po’ cringe (si direbbe oggi).
“L’urna molle e segreta” è un riferimento abbastanza chiaro all’utero, solo che lui lo chiama “urna”, un contenitore che di nuovo rimanda ai funerali e poi l’aggettivo “molle” che, diciamolo, è l’ultimo che vorremmo sentire in un contesto simile.
Sì, questo frutto dell’amore è una “felicità nuova”, ma quel “non so” che precede la lieta espressione, sta sempre a sottolineare l’esclusione di Pascoli dal tema della vita. Di morte lui ne sa un sacco, ma quando si parla di sesso e di vita, lui risponde “non so”.
Al di là di tutto, però, trovo questa poesia una delle più erotiche di questo autore e non solo. Amore e morte sono una coppia indissolubile dai tempi antichi, più ancora di pane e nutella.
Perché, si sa, nel sesso come nell’amore, c’è quell’istante in cui ti lasci cadere, che è un po’ morire. E va bene che non consiglierei Pascoli come consulente sessuale, ma credo che lui di sesso ne capisse più di quanto pensiamo.

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