Analisi illogica

Per quanto abbia studiato e insegnato la grammatica, alla domanda “prof, ma perché dobbiamo fare ancora analisi logica?”, cado come gli Spartani alle Termopili: per quanto indomita, ne esco sconfitta e spesso sanguinante.

Alle elementari i bambini sono più docili in fatto di grammatica, mentre i preadolescenti alle medie schifano tutto a prescindere, dunque pazienza, avranno tempo. Lo scoglio più duro restano gli studenti di seconda superiore, che si ritrovano questa oscura materia nel programma, nonché una popprof dietro la cattedra che riferisce loro che l’analisi logica servirà per la vita.

E così, tanto che aspettano il momento del BeReal, eccomi a intrattenerli con questa spiegazione.

Premettiamo che non tutto si studia perché “serve”, certe cose si fanno solo per amore, altre “per forza” (direbbe Cicciolina), ma, se devo scegliere, preferisco sempre la prima opzione.

Esistono due tipi di analisi logica: quella della frase semplice e quella della frase complessa (per gli amici: analisi del periodo).

La prima studia i rapporti logici tra i sintagmi che costituiscono la proposizione.

Non vi preoccupate, “SINTAGMA” è una parola difficile che indica una cosa facile, ossia i mattoncini che sono unità base di significato e compongono la frase.

Per intenderci: “La mamma lancia una ciabatta contro a Giovannino”.

I sintagmi sono i seguenti: “La mamma” che è soggetto in quanto motore dell’azione (senza l’intenzione bellicosa della genitrice, la ciabatta starebbe al suo posto, calzata nel piede). “Lancia” è il predicato verbale, ossia la parola che racconta un’azione.

“Una ciabatta” è il complemento oggetto, complice ignaro dell’azione (la ciabatta non ne può nulla, logicamente “viene lanciata” senza possibilità di appello).

Infine “contro a Giovannino” è il complemento di moto a luogo: la destinazione vulnerabile della nostra arma impropria.

A questo punto, chiedetemelo pure: ora che conosco queste informazioni, come le spendo?

Vi dirò, non solo sono utili per la comprensione in generale, ma si prestano a un’indagine più ampia, che è, appunto, l’analisi del periodo.

L’analisi del periodo studia i rapporti logici tra le frasi. Ogni frase è individuata dalla presenza di un verbo, ogni periodo è un insieme di frasi: quindi tante frasi quanti verbi, per essere sintetici.

Ogni periodo ha una principale, detta anche “reggente” perché tiene su tutte le altre: è quella che, detto tra di noi, meglio di tutte, può stare da sola. A questa sono legate altre proposizioni, secondo rapporti di coordinazione o di subordinazione.

Le coordinate stanno sullo stesso piano delle frasi a cui si riferiscono, sono legate tra loro come i cerchietti di una collana stesa sul tavolo in orizzontale.

Le subordinate, invece, come dice la parola stessa, stanno al di sotto. Immaginate i piani di un palazzo: se la principale è allo 0, le subordinate possono essere al -1, -2, -3 e via dicendo.

Ripeto, e quindi che ce ne fotte?

La sintassi serve a mettere ordine, a drizzarci con la schiena, a dare un senso a ciò che ci circonda.

Il significato, in fin dei conti, è l’obiettivo verso cui ogni giorno marciamo: chi riuscirebbe a sopravvivere senza capire i messaggi veicolati dall’altro. Del resto perché i fisici studiano l’ordine dell’universo? Ovviamente per capirne il senso (sì, ormai ci ho preso gusto), allo stesso modo noi studiamo la gerarchia delle frasi per comprendere il loro significato.

Vi faccio un esempio pratico.

Quest’anno in classe abbiamo letto due testi ad alta voce, uno è “I Promessi Sposi”, scelto dal Miur e obbligatorio nel programma, l’altro è “The Midnight Club”, romanzo che parla di ragazzini malati terminali che si raccontano storie e che mischiano l’orrore alla morte (che poi sono la stessa cosa).

Dunque alla lavagna ho provato a rappresentare graficamente i periodi dell’uno e dell’altro testo, che è un po’ come scoprire la formula chimica, la materia di cui sono fatti.

La scoperta sensazionale è che Manzoni è prevalentemente ipotattico, mentre Pike (autore del secondo libro) è per lo più paratattico.

Ipotassi significa presenza per lo più di subordinate. Paratassi, al contrario, indica la predominanza di coordinate.

E che cambia?

Tutto.

Il romanzo ottocentesco è come una scala che ci accompagna fino al punto: è ardua da scendere, così come da salire (per raggiungere il significato), ma, una volta tornato in superficie, ti senti appagato, come il primo uomo sulla Luna.

Non è facile stare dietro a questo passo, è quello che si cela nei saggi e nei pezzi “di settore”: ci avverte che siamo di fronte a qualcosa di specifico e di corposo.

La paratassi invece è più semplice, serve per la divulgazione, per capirci al volo. Si tratta della scelta più comune per chi vuole raccontare una storia ed essere ascoltato. Oggi, che tutto va veloce, è la scelta dei romanzieri, di chi, sostanzialmente vuole aprire una porta verso l’altro e non solo verso gli addetti ai lavori.

Nessuna delle due scelte è deprecabile, dipende dal motivo per cui si scrive.

Io sono prevalentemente paratattica, perché vorrei parlare con tutti.

Pensate a quali esiti potrebbe avere questo tipo di analisi sul discorso che ci fa, ad esempio, il partner che ci sta scaricando. La costruzione scelta per le sue frasi potrebbe rivelarci se è proprio finita, lui sta comprando un gatto con un’altra, oppure se c’è ancora una speranza. E mi sembra un’informazione oltremodo utile, soprattutto se si tratta di una questione di cuori spezzati.

Quindi in sintesi, a che serve l’analisi logica? Serve a rapportarci con gli altri, a comprendere le istruzioni dell’Ikea, a indagare i trabocchetti di un’offerta di lavoro, ma soprattutto è necessaria per capire se una persona vuole parlare con noi oppure no.

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