Atene era la città più cool del mondo antico, perché il popolo in assemblea definiva la legge, fior fiore di legislatori si alternano per estinguere aristocrazia e comunisti col Rolex e probabilmente gli Spritz erano i migliori.
Anche oggi Atene non scherza, non so se per l’aperitivo, ma sicuramente per il valore di ogni pietra su cui cammini.
Ovviamente Atene – che ve lo dico a fare – è foderata di statue della dea Atena, soprattutto l’Acropoli e il museo ad essa annesso.
Anticamente l’acropoli era la parte alta della polis, dedicata all’elemento sacro, mentre l’agorà era il luogo della politica e del commercio.
Ogni polis aveva la propria divinità protettrice, una specie di santo patrono, per intenderci. Nel tempio dell’acropoli, una cella cingeva la statua della divinità di riferimento e solo i sacerdoti potevano interrogarla.
Ad Atene, Atena era, ed è, raffigurata in molteplici pose, pare un calendario della Pirelli, anche se lei mai è considerata donna-oggetto e non solo perché è una dea.
Ma perché parlare proprio di lei?
La ragione non è solo perché ho recentemente visitato Atene, ma soprattutto perché, dopo un’estate come questa, in cui si è parlato – a sproposito – di intersessuali, trans e ormoni, Atena pone fine a ogni questione in quanto divinità più “fluida” dell’Olimpo.
Gli antichi Greci però si occupavano poco di identità di genere e casi affini.
Atena non era venerata solo ad Atene, ma anche a Delfi, Corinto, Megara, Epidauro, Olimpia e Agrigento. Pure i Romani se l’accollano e la chiamano Minerva. Saranno mica tutti scemi?
Questa dea era spesso accostata agli uccelli o ai serpenti, ma soprattutto era patrona sia delle arti femminili, sia di quelle che allora erano considerate attività prevalentemente maschili, come il lavoro operoso e intelligente.
Come tutti i miti, anche quello di Atena si evolve, potremmo dire, cambia forma. Motivo per cui Omero, nei suoi poemi, la rende addirittura una dea guerriera.
Pallade = lanciatrice d’asta.
Per intenderci: se credete che Achille sconfigga Ettore a duello, solo perché è il più maschio e il più valoroso di tutti, vi sbagliate. In realtà è Atena che, invisibile agli occhi di Ettore, passa le lance all’eroe greco.
Nessuno ai tempi si è chiesto quale fosse la conformazione genitale della dea. Nessuno ha pianto dopo il lancio del primo giavellotto. Nessuno si è preso la briga di scrivere un post su Facebook per dire che il duello era truccato. Giusto Ettore, al massimo, si sarebbe potuto lamentare della disparità numerica dei contendenti: due contro uno. Ettore però preferisce combattere valorosamente e, anche se sconfitto, non si lamenta.
Nel mito Atena è la figlia anomala di Zeus: contro ogni legge naturale, infatti, lei nasce dalla testa del padre. Due informazioni che oggi farebbero andare fuori di testa molti avvocati dei diritti dei bambini: “Un neonato necessita di una mamma e un papà, o almeno della presenza di una vagina!”
No, niente famiglia tradizionale per Atena, niente polemiche, niente test del DNA: solo l’immagine incancellabile della dea più venerata di tutta la Grecia.
Atena protegge la sua città (e tutte quelle a cui a lei sono devote), con tanto di lancia. Non ha paura, è intelligente, è maschio, è femmina, non a caso a una affidabile come lei i Greci attribuiscono anche l’amministrazione della giustizia.
Oh, mica stiamo parlando di bruscolini, Atene è la città in cui nasce la democrazia.
“Democrazia” è un concetto di cui molti oggi si riempiono la bocca. Altri invece affermano di non “credere” in questa forma di governo (per questa seconda categoria non ho commenti, provo solo tanta pena).
Pochi però ne conoscono il reale significato.
“Democrazia” prende le mosse da un altro concetto bellissimo che è “isonomia”, ossia “uguaglianza di tutti i cittadini davanti alla legge”.
Essere uguali significa anche che io ho diritto alla mia privacy e che non è giusto che chiunque, da privato cittadino o testata giornalistica senza competenze, possa sputtanarmi pubblicamente con notizie non vere, non confermate dalla scienza, dall’etica e soprattutto da me.

Ovvio, l’avrete capito ormai, il giorno in cui Imane Khelif ha vinto l’oro olimpico nel pugilato, io su quel podio ho visto la dea Atena. Sguardo fiero, lancia stretta in una mano, femmina e maschio al tempo stesso (come siamo tutti in realtà, anche se per lo più preferiamo non ammetterlo).
Okay, mi direte, i Greci erano una manica di maschilisti. Io stessa, da donna, non vorrei vivere nell’antica Grecia neanche per cinque minuti.
La polemica sulla pugile algerina, però, non ha niente a che fare con il femminismo. Anzi, il femminismo, quello vero e non quello fanatico, dovrebbe sentirsi offeso da una tale invadenza o violenza nei confronti di un’altra donna.
A capo di questo atteggiamento malato, J.K Rowling a cui la vita, evidentemente, non ha insegnato nulla. Negli anni ’90, quando lei non era ancora nessuno, il suo editore le consiglia di pubblicare il suo primo “Harry Potter” usando solo le sue iniziali e non il nome esteso. La ragione? Il pericolo che i bambini non volessero leggere un libro scritto da una donna.
Così la scrittrice inglese nega la sua femminilità per prima e poi pretende di decidere chi è donna e chi no?
Pronto?
Per non parlare del nostro attuale Presidente del Consiglio che, a mio giudizio, ha l’unico merito di essere la prima donna in Italia a ricoprire tale carica e, nonostante questo, pretende di essere chiamata al maschile.
Sto divagando, è vero, ma solo perché ritengo che il problema sia più ampio del caso di Imane che – ripetiamolo – è una DONNA. Si tratta più che altro di una faccenda di estremismo e l’estremismo – ce lo insegnano pure i Greci – porta solo a guerre e al tramonto di intere civiltà.
È solo paura. Paura che gli uomini possano avere più di noi donne.
È già così, mi dispiace dirvelo, ragazze, ma state combattendo la battaglia sbagliata.
Le persone trans, tutti i “non conformi”, non sono uomini che si travestono da donne per fregarci, ma sono donne come noi che non hanno avuto la nostra stessa fortuna di nascere in un corpo adatto a ciò che sentiamo.
E, per piacere, fatevi chiamare al femminile, rivendicate il vostro diritto di essere donne e dimostrate che, in quanto tali, potete avere tutti gli “ori” che vi spettano, che spettano a tutte noi.
Mettere Imane Khelif sotto una lente d’ingrandimento non fa che renderci tutte più povere.
Fate come i Greci. A loro non importava dei cromosomi, non sapevano nemmeno cosa fossero i cromosomi. Il loro discrimine più importante era tra chi fosse divino e chi no.
Ed io, quando guardo Imane con la medaglia al collo, non vedo XX, XY, XXY o qualsiasi altra targa automobilistica voi le abbiate affibbiato: io vedo solo una dea.

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