Team Achille o team Ettore?

Poco prima di Natale, alcune pagine satiriche di Instagram hanno pubblicato dei video creati con l’AI, in cui coppie di nemici storici si scambiano effusioni, tipo Meloni e Schlein abbracciate, ma anche Harry Potter e Voldemort infilati in coloratissimi maglioni natalizi, o Chiara Ferragni e Selvaggia Luccarelli che limonano davanti a un Pandoro. Immagini come queste funzionano perché il conflitto fa audience da ben prima di “Uomini e donne” e i duelli vanno di moda forever, perché ci offrono la grande possibilità di schierarci, partecipando, sì, ma da lontano. Scegliere un personaggio politico piuttosto che un altro, una squadra di calcio, il tennista del cuore, l’eroe o il villain in una serie televisiva, ci determina, dice molto su di noi e sul modo che ciascuno ha di vedere il mondo.

Oggi, per dimostrarvi che questo meccanismo immedesimazione/schieramento esiste da sempre, vi racconterò della disputa più antica della storia della letteratura, ossia quella tra team Achille e team Ettore.

Se fossero due personaggi attuali, probabilmente si sfanculerebbero a suon di storie passivo-aggressive pubblicate sui social, ma loro sono eroi antichi, il cui scopo principale è dimostrare il proprio valore, specie se in guerra: tanto simili, quanto diversi, i nemici perfetti.

Achille è figlio di un mortale, Peleo, e della ninfa Teti. Non si è mai trattato di un matrimonio felice, voci di corridoio dicono che Teti non fosse poi così d’accordo con queste nozze, quindi la coppia vive sostanzialmente separata, uniti dall’unica luce dei loro occhi che è il piccolo Achille, appunto.

Teti poi non sopporta l’idea che il frutto dei suoi lombi sia teoricamente mortale, per colpa di quel deficiente del padre, così lo immerge nello Stige, il fiume che lo renderà invulnerabile, anche se, storia nota, la madre si dimentica del tallone, e quella sarà la causa della fine dell’eroe. Comunque sia, Achille cresce forte, allenato dai maestri migliori di tutta la Grecia, ed è chiaro fin da subito che è destinato a diventare un grande combattente.

Tra un allenamento e l’altro, il fanciullo prodigioso sviluppa un’amicizia particolare con un certo Patroclo, compagno di giochi e di armi. Madeline Miller, nel suo best seller “La canzone di Achille” ci offre informazioni maggiori sulla love story, per ora vi basti sapere che Patroclo non è fiero e arrogante come Achille, ma è un trottolino tutto gracile, scarsino nel combattimento e che spesso si salva il culo proprio grazie all’intervento del compagno. Insomma Achille e Patroclo sono una di quelle coppie resistenti che quando ti chiedi dove sia uno, la risposta è sempre accanto all’altro, nonostante Achille sia una personalità parecchio problematica.

Ettore invece è il figlio di Priamo, re di Troia, ha un carattere molto più mite rispetto ad Achille, infatti non sembra posseduto dalla brama di diventare re a sua volta, nonostante, in qualità di primogenito, goda di un culo pazzesco rispetto agli altri undici fratelli.

Ettore ha una famiglia tradizionale, composta da Andromaca (il suo nome alla lettera è “colei che combatte i maschi”, quindi probabilmente sarà una gran figa) e il piccolo Astianatte, che al tempo della guerra più famosa della storia, è giusto un neonato.

Ettore dunque è il classico tipo retto: dei, patria e famiglia, con una scala di valori molto saldi e un’insopportabile attitudine a fare la cosa giusta, Achille invece è geniale, il migliore dei migliori, ma anche arrogante e in balia dei propri sentimenti.

Tutto va bene, i due caratteri così distintamente marcati potrebbero anche non incrociarsi mai, se non fosse che i loro mondi, quello greco e quello troiano, vengono sconvolti da una terribile guerra.

Torniamo un attimo indietro nel tempo, al giorno delle nozze sventurate tra Peleo e Teti: lei, scazzata, sbuffa quando il neosposo fa il discorso dopo il brindisi, mentre la gente al banchetto è felice di mangiare e bere a sbafo, cosa può andare storto?

Questa è una domanda che nel mondo antico è sempre meglio non porsi, perché, anche quando va tutto bene e gli dei ti sono favorevoli, basta un attimo perché al fato giri il cazzo. Ed è esattamente quello che succede a quella festa di matrimonio.

Peleo e Teti infatti, forse presi com’erano dalla scelta delle bomboniere e dal menu del pranzo di nozze, si dimenticano di invitare Eris, la dea della discordia… ma cavolo, una cosa dovevano fare, non potevano scordarsi di qualche dio minore dei boschi?

Comunque Eris ovviamente se la prende e per vendicarsi fa scivolare sul tavolo nuziale un frutto d’oro su cui è incisa la frase “Alla più bella”. Atena, Era e Afrodite che, tra le princess, sono le più princess di tutte, si sentono personalmente prese in causa e ciascuna crede di essere la naturale proprietaria del frutto.

Così, per dirimere la questione viene scelto come giudice, il giovane Paride, secondogenito di Priamo, e, come la maggior parte dei concorsi di bellezza, anche questo si mostra truccato fin dalle prime fasi di gara. Infatti ogni concorrente, in segreto, cerca di corrompere al giudice, offrendo quello che a proprio parere è il miglior pacchetto di benefici e in men che non si dica la competizione è a chi sgancia la mazzetta più importante.

Alla fine vince Afrodite che promette a Paride l’amore per la donna più bella al mondo. Si dà il caso che la più gnocca del globo sia una certa Elena, che però al momento è anche la sposa di Menelao, re di Sparta. Pochi indugi, per intercessione della dea, tra Elena e Paride scoppia subito la scintilla e i due scappano insieme a Troia.

Bordello: Menelao denuncia alle autorità competenti il rapimento della moglie e si mette in moto una macchina che mobilita tutta la Grecia: Agamennone, fratello di Menelao, raduna un esercito poderoso di cui lui stesso sarà il comandante, poi Ulisse, re di Itaca, si unisce alla spedizione e alla fine pure Achille, per questioni di promesse pregresse.

L’Iliade è indubbiamente il testo più autorevole per avere info su questo conflitto. L’inizio del poema è fissato al decimo anno di guerra, quando entrambi gli eserciti sono ormai parecchio stanchi, mentre il motore della vicenda è la celebre ira di Achille. Agamennone, giusto per smacco, gli ha portato via la schiava Briseide, così l’eroe, ben sapendo che senza di lui la guerra è come persa, decide di strapparsi di dosso le armi e lasciare la battaglia. nonché l’accampamento dei Greci. Tiè.

La situa si mette immediatamente male tra le file dei Greci, così Patroclo che ama molto Achille nonché la patria, decide di combattere al posto dell’amante, anche se lui è una sega con le armi. Indossa l’armatura del prode e sale sul carro, sperando che, in battaglia l’esercito nemico, credendo di vedere Achille, desista dal combattere, per paura.

Per quanto azzardato, in effetti per un po’ l’inganno funziona e i troiani stanno alla larga dal carro dello pseudo Achille, finché uno di loro, il più coraggioso appunto, decide di sfidarlo a duello. E che ve lo dico a fare? È così che Patroclo soccombe per mano di Ettore.

Quando Achille viene a sapere della morte del compagno smatta ancora di più, ovviamente, in primo luogo perché si sente in colpa, in fin dei conti è stata la sua ira a costringere Patroclo a scendere sul campo di battaglia, ma è soprattutto l’impulsività dettata dal dolore a guidare le sue azioni. Così si reca sotto le mura di Troia a urlare contro Ettore frasi del tipo: “Esci, figlio di puttana, vieni a combattere contro di me se hai il coraggio”.

Quello che segue è uno dei momenti più struggenti dell’Iliade, perché Ettore potrebbe restare a casa, bello tranquillo con la sua famiglia a guardare sul maxischermo la finale di Sinner, ma non può: per quanto per lui la famiglia sia importante, la patria e l’onore vengono prima, è l’antichità, funziona così. Dunque, anche se a malincuore, saluta Andromaca che lo supplica di non andare e, anche se ancora non lo sa, dice addio pure al figlioletto. Poi esce dalle porte Scee per affrontare Achille in duello.

Ve l’ho già raccontato, Ettore è svantaggiato perché Achille ha la dea Atena dalla sua parte che bara per far vincere il suo protetto, ma Ettore combatte comunque valorosamente, fino al momento in cui Achille lo infilza con la spada in uno dei punti molli dell’armatura, dove la gola non è protetta. E allora, negli ultimi istanti di vita, Ettore supplica Achille di dare al suo corpo degna sepoltura, che è una cosa fondamentale per i greci, non solo perché un corpo insepolto non ha pace, ma anche perché costituisce un disonore per tutta la famiglia. Achille gli risponde una cosa del tipo: “Manco per il cazzo” e infierisce fino ad ammazzarlo male. Poi lega il corpo dell’avversario al carro da guerra e comincia a girare come un pazzo intorno all’accampamento greco per sfotterlo ulteriormente mentre lo trascina esanime.

Solo davanti al vecchio padre di Ettore, che giunge al campo per reclamare umilmente il corpo del figlio, Achille cede: cuor di panna anche lui, non sa resistere di fronte alla supplica di un anziano tanto addolorato. Così l’Iliade si conclude con i funerali di Ettore, mentre a noi non resta che tirare le somme.

Devo dire che da ragazzina preferivo Ettore, perché è dolce, coraggioso e alla fine perde ed io da sempre sto dalla parte di chi viene sconfitto (l’importante è partecipare).

Col tempo però, forse crescendo e di fronte a relazioni d’amore luttuose, ho cominciato a capire di più Achille: Ettore gli ammazza il suo Patroclo e la furia cieca, in questo contesto, altro non è se non un estremo atto d’amore. Del resto cosa non saremmo disposti a fare se ci portassero via la persona che amiamo, in un modo così ingiusto?

E voi da che parte state: team Ettore o team Achille? Fatemi sapere, piccoli cuori. 

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