Pirandello e Fantozzi

Quando affronto il genere comico/umoristico, in classe volano gli stracci. Il motivo è che di solito ho la terribile idea di cominciare chiedendo agli studenti cosa, più di tutto, li faccia ridere.

Per lo più sono quattordicenni abbrutiti di social, dunque non mi stupisce che le loro risate convergano soprattutto sui video di TikTok, specie quelli in cui la nonna di turno viene gabbata – e questo, sì, è uno dei modi per suscitare ilarità, certo. Ma il problema giunge quando mi trovo al cospetto del cosiddetto “humor nero”, battute su Anna Frank, sui morti, sulle religioni, sugli omosessuali.

Non applico abitualmente la censura in classe, ma, ciò che voglio insegnare è che la risata, l’ironia, sono spesso robe intime: insomma, ti puoi permettere certe uscite, sì, ma solo in privato, insieme a un gruppo ristretto di persone che capiscono il tuo modo di scherzare e, soprattutto, non si sentono colpite da ciò che dici. Il mio motto: “se ridi solo tu, non è una barzelletta, è bullismo”.

Per capire meglio il concetto, però, è necessario andare a vedere da dove ha origine la comicità.

Siamo nell’antica Grecia dove scrittori di gran riguardo mettono in piedi il teatro. Come ho spesso detto, allora esistevano solo due generi, ossia la tragedia e, appunto, la commedia. Uno dei campioni di quest’ultimo genere è Aristofane e le sue trame sono più o meno tutte uguali, tra equivoco e agnizione (che significa riconoscere finalmente qualcuno che, fino a poco prima, non si aveva idea di chi fosse, colpo di scena). Anche i personaggi, passando da un’opera a un’altra, si somigliano, tra di loro spicca il servo scaltro, sottomesso, spesso buffo, ma vero motore della vicenda.

“Commedia” significa iniziare male e finire bene, più o meno alla maniera che intendeva Dante, anche se, a differenza della Divina, i Greci ogni tanto fanno ridere sul serio.  

Il genere poi si trasferisce nel mondo latino e lì assume una sfumatura nuova. Caratteristica intrinseca della commedia antica è mettere in scena i vizi della comunità cittadina, cosicché la gente, assistendovi, possa imparare dai propri errori senza sentirsi personalmente accusata. Dunque i Romani mettono a punto la satira che, in origine è un genere misto, ossia che tratta una serie di temi diversi contemporaneamente, ma poi si affina, diventando quella modalità pungente con cui, anche oggi, si mettono alla berlina personaggi famosi, specie politici.

Nel medioevo, invece, la Chiesa è l’ombelico del mondo e, seriosa, tiene il punto, bandendo del tutto la comicità: “fatti una risata” non è il motto del clero. Dunque il genere perde un po’ di colpi, se non per il momento del Carnevale. Il Carnevale medioevale è, secondo illustre definizione, “il mondo alla rovescia”, il tempo in cui tutto può accadere, per intenderci, ci sono immagini d’epoca in cui cavalli montano cavalieri. Okay la risibilità effettiva è discutibile, ma c’è un autore che rompe gli schemi scrivendo un testo irriverente, ed è il Boccaccio del “Decameron”. E non vi sto spiegare di cosa si tratta perché sicuramente lo sapete tutti, vi basti sapere che dentro a una cornice narrativa, dallo stile alto, ipotattico (paroloni), si nascondono delle storie divertenti e pruriginose che ancora oggi sono capaci almeno di farci sorridere.

Sono così ansiosa di farvi sapere quel che penso che salto subito al ‘900. In questo tempo abbiamo un vero capo, Pirandello. Nel celebre saggio, “L’umorismo” lo scrittore fa una fondamentale distinzione tra ciò che è comico e ciò che è umoristico. Per spiegarcelo meglio usa l’esempio della vecchia imbellettata. C’è una signora, piuttosto avanti con gli anni, vestita come tata Francesca (per chi si ricorda la celebre sitcom): è truccata in maniera esagerata, piena di gioielli e accessori che cozzano vistosamente con la sua età anagrafica. Vederla lì, così buffa e fuori luogo, genera in noi una risata spontanea e questo secondo Pirandello è “l’avvertimento del contrario”, ossia il comico puro: la battuta, il gioco della risata facile. Ma poi, se ci soffermiamo un po’ di più su di lei, ci è richiesto pensare al motivo per cui sia conciata così: Ha paura di invecchiare e quindi cerca di combattere il tempo con una veste non adeguata? Il marito l’ha tradita con una ragazza più giovane e dunque tenta di sembrare più giovane a sua volta? Vista in quest’ottica la faccenda assume tutt’altra valenza e questo per Pirandello è il “sentimento del contrario”, ossia l’umorismo: dietro alla risata si nasconde la riflessione.

Il più grande esempio di questo assunto pirandelliano, più o meno recente, è la saga di “Fantozzi”.

Ugo Fantozzi è un uomo che incarna tutte le caratteristiche affini alla risata: è buffo innanzitutto, fisico a pera, abbigliamento che spesso comprende pantaloni ascellari e una coppola assolutamente fuori moda, nonché l’affidabile canottiera bianca infilata sotto alle bretelle, quando è più casual. Inoltre non è solo un personaggio assurdo, ma anche totalmente inadatto al contesto: vessato dai vari megadirettori della ditta anonima per cui lavora, si trova spesso a fare cose che non vuole o che non gli competono, come partecipare a una gara di atletica leggera, solo perché il suo superiore ne è appassionato, fingersi campione olimpico di sci mentre scende a valanga da una pista nera con un cappottino grigio e infeltrito, saltare dal balcone per planare direttamente sul bus che lo porterà al lavoro (in quanto in ritardo), infiltrarsi, vestito come Zucchero Fornaciari, in una discoteca rumorosa per cercare la nipote Uga. Il fatto che Fantozzi e le persone a lui più vicine non becchino neanche un congiuntivo genera ilarità immediata. Memorabile è il dialogo, tra lui e il geometra Filini, che si svolge in un campo da tennis.

“Che fa, ragioniere, batti?”

“Mi dà del tu?”

“No, batti lei, congiuntivo”.

Ovviamente entrambi sono immersi in una nebbia bestiale che non permetterebbe neanche a Sinner di prendere una palla.

Altro punto di forza di questa saga sono le battute iconiche, come quando il nostro protagonista, davanti al cinema d’autore, dichiara: “La corazzata Potëmkin è una cagata pazzesca”.

Insomma, Fantozzi è l’evoluzione del servo scaltro, perché è totalmente sottomesso e completamente sfigato, anche se, in questo caso, senza una rivalsa. È proprio qui che scatta quello che Pirandello definisce “Umorismo”.

Mia mamma mi ha sempre diffidata dalla mia passione per una cagata del genere. Molte persone che conosco, oggi non riescono a guardare la saga di Fantozzi con leggerezza, perché la pena è il sentimento che prevale e sconfigge la risata.

Se ben andiamo a guardare, infatti, Fantozzi è un personaggio schiacciato dalla vita, nessuno ricorda il suo nome, se va bene lo chiamano “Fantocci”, ma si arriva a storpiature di ogni sorta, addirittura, sull’orologio ottenuto per l’agognata pensione, compare inciso nell’oro “Pupazzi”. Fa un lavoro che gli fa schifo e per il quale è continuamente rimproverato da direttori che sono soliti foderare le loro poltrone in pelle umana di dipendente, ma che nessuno biasima, anzi, incredibilmente sembrano avere sempre ragione. È sposato con la Pina, una donna che non ama e da cui non è amato, al massimo, nei momenti più emozionanti, i due si dichiarano una reciproca, grande, stima. Ha una figlia e una nipote ed entrambe sono bruttissime, al punto che tutti le perculano, paragonandole addirittura a scimmie (e, sì, Mariangela di fatto si sposa con un orango, ma qui ci sarebbero tanti commenti da fare che magari serberò per un altro pezzo). Come se non bastasse, Fantozzi è da sempre innamorato perso della signorina Silvani, una burinona agé, interpretata a Anna Mazzamauro, che, ovviamente non lo ricambia, anzi, fa leva su quel sentimento, per ottenere da lui favori speciali.

Ciò che prevale alla fine è una grande amarezza per il tempo di Fantozzi e per il nostro tempo in cui le cose non sono molto cambiate, solo che non si pronunciano più ad alta voce, ma si bisbigliano dietro alle spalle altrui. Il politicamente corretto non è una vera tutela, ma un modo per nascondere lo sporco sotto al tappeto.

Paolo Villaggio, interprete del personaggio principale, è un genio, non solo per il modo in cui recita, ma perché lui è anche autore dei libri da cui sono tratti i film. E questi romanzi sono una delizia per gli amanti del genere e non: verbosi, pieni di particolari grotteschi assurdi, un linguaggio alto, per lo più, per parlare di cose assolutamente basse, insomma, uno dei modi efficaci per far ridere.

Ma ricordiamolo sempre, come per le cose migliori, non lo dice solo Pirandello, ridiamo pure, ma cerchiamo di scoprire che c’è dietro alla risata, ossia un mondo intero in cui ridere non è la sola caratteristica interessante, e la riflessione, nonostante tutto, deve sempre fare da padrona. Il politically correct funziona solo se dietro c’è qualcuno che ragiona. 

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