Canto XXVI del Purgatorio, ci troviamo quasi in cima alla “montagna bruna”, come la definisce Ulisse, e qui incontriamo i lussuriosi. Aspetta un attimo, ma non abbiamo già visto questi peccatori all’inferno? Paolo, Francesca e la loro storia straziante che fa svenire Dante?
Certo, dovete sapere che alcuni peccati nella Commedia sono, per così dire, doppi. Per una stessa colpa, alcune anime vengono collocate all’Inferno e altre in Purgatorio. Il criterio è molto semplice, in Purgatorio ci vai solo se ti sei pentito prima di morire, ma pentito sinceramente, Dio lo sa.
A differenza degli altri due regni, che sono eterni, il Purgatorio invece è transitorio e finirà con la fine del mondo. Sufficientemente consolante, direi.
Dunque le anime in questo mondo ultraterreno, seppur concentrate a espiare, sono un po’ sollevate dalla prospettiva di salvezza.
Il Purgatorio costituisce un momento di distensione per Dante, “e quindi uscimmo a riveder le stelle” dice il poeta nell’ultimo canto dell’Inferno e poi tira un sospiro di sollievo.
Siccome alle superiori ero interessata al cinema – e a poco altro –, la mia prof (dalla quale ho imparato ad essere pop) mi ha chiesto di immaginare una sorta di scenografia dell’inferno. Rispondo per bene solo ora a quella richiesta: pensate al buio, un buio incoercibile, senza scampo, perché l’Inferno è una buca sottoterra, poi fiamme, calore, odore di zolfo, urla dappertutto che provengono da anfratti che appunto non puoi vedere. Insomma, se ci facciamo caso, potrebbe essere tranquillamente la descrizione di un horror, uno di quelli spagnoli, telecamera alla mano, tipo “Rec” (per chi conosce il genere).
Comunque, in confronto, il Purgatorio è un parco giochi, per questo Dante comincia a girare nel chill, come quei turisti con i sandali e calzini che fanno un sacco di foto. Ad un certo punto incontra pure un suo caro amico.
Ma procediamo con ordine. Dante sta passeggiando sull’orlo della settima cornice con il suo bro Virgilio e con loro c’è anche Stazio. Non la faccio lunga, Stazio è un poeta latino che fondamentalmente si è redento dal suo peccato leggendo Virgilio. Grazie a lui assistiamo a un fenomeno straordinario, in qualche cornice precedente: un terremoto scuote la montagna e questo è il segno che un’anima ha completato la sua espiazione e può accedere al Paradiso (ci starebbe bene tipo una sigla qui). Comunque Stazio, dal momento che è libero, decide di unirsi alla piccola comitiva per un pezzo di Purgatorio.
Nel frattempo, dicevo, Dante dall’alto vede una sorta di spettacolo pirotecnico: due schiere di anime avvolte nelle fiamme che si muovono da due direzioni opposte e poi, quando si incontrano, si baciano, si toccano il muso l’un l’altra come fanno le formiche, “Così per entro la schiera bruna | s’annusa l’una con l’altra la formica | forse ad espiar lor via e la fortuna”, segni d’affetto casti che sono appunto il contraltare del loro peccato, la lussuria, la passione amorosa messa sopra a tutto il resto.
Prima di separarsi, poi, le due schiere cominciano a gridare, sia esempi di castità, sia di amore contro natura. Le due schiere rappresentano, come ha detto una mia alunna all’interrogazione, gli etero e i gay, ossia quelli che hanno peccato di lussuria secondo natura e coloro che l’hanno fatto, sì, ma con qualcuno del loro stesso sesso, i sodomiti.

Comunque tutte le anime ricordano insieme, tipo terapia di gruppo, le violazioni che ti rendono un dannato, ad esempio farsi un toro, come nell’antichità Pasifae, la moglie di Minosse che, appunto, a causa del suo amore bestiale aveva generato il Minotauro (e poi oggi se la prendono con la gestazione per altri, ma va be’).
Comunque Dante, incuriosito, si avvicina e in quel momento la sua ombra, a causa delle fiamme, si proietta rossissima a terra. Allora tra le anime comincia un brusio: “Ehi zio, ma che ci fai con quell’ombra lì? Mica sei vivo? Ma non è possibile” e via dicendo.
Dante risponde che il suo corpo è rimasto sulla terra, ma lui è lì comunque con il suo aspetto umano e tutte le robe che lo rendono tale. E comunque che si facciano i cazzi loro perché lui è in missione per conto di Dio.
A un certo punto un’anima si avvicina, è evidentemente un local, perché spiega al pellegrino come funziona il posto, le cose che vi ho detto delle due schiere, ecc. Dovete sapere che le anime non mantengono l’aspetto che avevano sulla Terra, quindi Dante non sa che… in quel momento sta parlando con il suo vecchio amico, Guido Guinizzelli.
Sì, Maria, puoi aprire la busta: Dante avrebbe voglia di gettarsi nel fuoco pur di abbracciarlo, ma non lo fa, così vira su un complimento, ricordando anche a tutti noi, che Guido è niente popò di meno che il padre dello Stilnovo, corrente letteraria a cui Dante stesso, per un certo periodo, ha aderito. Senza esagerare, poi, gli fa sapere che, anche se ormai è morto da un pezzo e lo Stilnovo non va più di moda, le sue poesie continuano ad essere lette e a spaccare.
Non sono solo complimenti di circostanza, ma il tentativo di inserire nella Commedia quel dibattito letterario, già cominciato con Stazio, che rappresenta la poesia classica, per arrivare a parlare di quella contemporanea.
“Grazie, grazie davvero, bro” gli dice Guinizzelli, che però resta umile e, anzi, gli ricorda che ci sono autori molto meglio di lui e, le carrambate continuano, il vero boss della letteratura è proprio lì tra di loro.
Si tratta di Arnaut Daniel, grande poeta provenzale.
La prima forma di letteratura in lingua volgare è proprio quella francese, e quella provenzale è il primo esempio in questo senso di poesia amorosa. I trovatori, ossia quelli che avevano il compito di “trovare” parole e melodie per i componimenti, erano famosi un botto in Francia nel XII secolo, ma poi, per ragioni di varia natura, dilagano in altri paesi europei e, in Italia, influenzano la Scuola Siciliana, poi di conseguenza lo Stilnovo e anche tutti quelli venuti dopo. Quindi non c’è da stupirsi se Guinizzelli dice che il vero genio qui è appunto Arnaut Daniel.
Dante gli si avvicina perché vuole un autografo come minimo, e quello comincia a parlare: “Tan m’abellis vostre cortes deman, | qu’ieu no me puesc ni voill a vos cobrire. | Ieu sui Arnaut, que plor e vau cantan; | consiros vei la passada folor, | e vei jausen lo joi qu’esper, denan.”
Avete capito? No, è normale, perché Arnaut Daniel ovviamente parla in lingua doc, che è l’antico francese del sud della Francia. Però, siamo in un mondo assurdo e, per giunta Dante in teoria sta sognando e nei sogni è tutto possibile, quindi il nostro poeta lo capisce.
Il canto finisce quando Dante gli chiede se può fare qualcosa per lui, che ne so, compragli un gelato, fargli le pulizie in casa, andare in posta per conto suo, robe così, e Arnaut Daniel gli chiede solo di pregare per lui, cosicché la sua attesa in Purgatorio finisca il più presto possibile e possa finalmente raggiungere il Paradiso.
Dante acconsente, ma ora ha una certa fretta, ha un appuntamento nel Paradiso Terrestre con la sua Beatrice, che non vede da un sacco (lei è morta a ventiquattro anni), quindi credo che ora sia tutto concentrato su come gli stanno i capelli e l’alloro sulla fronte, prima di questo fatidico incontro.
Dunque la comitiva si muove e quel che verrà dopo sarà solo Paradiso.

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