Dazi fa rima con

In questo periodo la parola “dazi” è sicuramente una delle più pronunciate, cliccate, paventate. Storia nota, ahimè, abbiamo un grande dittatore che fa le bizze (anche se è stato votato regolarmente, eh, quindi forse un po’ ce lo meritiamo).

Comunque non sono qui per rimpiangere Kamala Harris e neanche per spiegare a Trump come fare il suo lavoro, ma per attenermi, come sempre al mio ambito. La storia è statisticamente una delle materie più odiate dagli studenti, eppure in classe mi sforzo sempre di spiegarne la funzione: ciò che si studia tra i banchi di scuola non è del tutto morto perché, è provato, chi non conosce la storia non fa altro che commettere in continuazione gli stessi errori del passato.

Cominciamo dunque con un po’ di etimologia, che è la storia delle parole. Di “dazio” si ha traccia fin dal latino classico: “datium (-ii)” anche se con significato incerto. Nel latino medioevale invece troviamo con sicurezza la sua radice “datio (-onis)” che designa “il dare, il consegnare”.

Fin dall’antichità, con questa parola si intente un’imposta diretta che regola la circolazione delle merci. Possiamo chiamarla anche “tassa” o “tributo”, ma la sostanza non cambia. Da quando esiste l’economia, è in voga anche questa pratica, che, storicamente, ha due caratteristiche: viene imposta da una nazione per dimostrare che ce l’ha più lungo degli altri (vedi l’impero romano, o gli odierni USA) e di solito, a lungo andare, causa danni sia a chi impone, sia a chi ne è sottoposto.

Vede, signor Trump, basterebbe aprire un libro di storia per capire che questa decisione è pericolosa, se vuole le presto la mia copia di prima o seconda superiore: ha anche la soluzione agli esercizi a fine capitolo.

Per fare un ripasso generale, ho citato per primo l’impero romano, perché, tra tutti i popoli bulli, è sicuramente il più bullo. Impone lingua, cultura, e fa pagare delle tasse aggiuntive a chi viene conquistato: il risultato? Fagocitato dai popoli stessi che tentava di tenere alla larga. Complimenti.

Ma tornando al significato: le parole spesso si evolvono nel tempo, perdendo la loro accezione neutrale. In questo caso segnaliamo l’espressione idiomatica: “pagare dazio”, che vuol dire “pagare per un errore commesso”. Ed ecco che, seppur celata dal suo significato di ambito tecnico-economico, la parola “dazio” porta con sé il senso di una colpa per chi deve pagare e quello del potere per chi riscuote: la tendenza all’imperialismo è una brutta bestia di cui evidentemente non ci libereremo mai.

Ma, senza eccedere, facciamo un esempio molto piccolo e storico di ciò che accade a volte a imporre dazi a tutti i costi.

Ricorderete sicuramente la celebre storia raccontata nell’Iliade e della guerra tra Achei e Troiani che ha infiammato il mondo greco fin dai suoi albori.

Be’, l’epica per sua natura mescola storia e leggenda. La leggenda qui riguarda gli schieramenti degli dei, Achille e il suo tallone e tutta la mitologia legata a questa guerra, fin dalle sue origini. Omero infatti (o chi per lui) ci racconta del rapimento della bella Elena, moglie di Menelao, re di Sparta, e della mobilitazione dell’esercito acheo per riprendersi la fanciulla, che nel frattempo si è messa insieme al troiano Paride.

In questa avventura pazzesca si nascondono dati storici incontrovertibili. Non a caso un celebre studioso tedesco, di nome Heinrich Schliemann, legge attentamente sia l’Iliade, sia l’Odissea e, guidato solo dalle notizie contenute all’interno dei poemi, si mette a scavare in Asia Minore è lì, sulla collina di Hissarlik, trova niente popò di meno che la città di Troia, anzi, nove strati di città. Il che significa, non solo che la città di Ilio è esistita veramente, ma che è stata distrutta e ricostruita per ben nove volte.

Il motivo di tanto accanimento? La sua posizione strategica. Troia infatti si trovava proprio all’imbocco dello stretto dei Dardanelli, l’unico accesso per il Mar Nero: insomma, se volevi commerciare in quella zona, dovevi per forza passare davanti alla città. I Troiani, per mantenere i loro affari, nonché il monopolio economico, impongono appunto dazi a tutti i mercanti di passaggio. Forse allora non li chiamavano “dazi”, ma il punto è lo stesso: una tassa per il commercio.

La tribù degli Achei si stanzia in Grecia, nel Peloponneso, intorno al 2000 a.C. e subito si mostra ben più bellicosa e interessata a fare soldi dei pacifici vicini cretesi, non a caso nel giro di poco e senza grande sforzo conquistano anche Creta. Okay, allora non esisteva il Risiko, ma di sicuro c’erano degli strateghi abbastanza preparati per suggerire che l’obiettivo successivo per espandere i commerci sarebbe stata l’Asia Minore appunto. Qui gli Achei incontrano la resistenza degli Ittiti, ma soprattutto dei Troiani, loro alleati e ben intenzionati a mantenere la propria esclusiva.

E sappiamo tutti com’è andata a finire, anche se non crediamo all’inganno del cavallo, gli scavi mostrano che gli Achei distruggono la città per la settima volta e, nonostante questo – ne sono prova il nono e il decimo livello –, i Troiani perseverano con la loro politica di tasse senza senso.

Non giustifico la guerra in alcun modo, ma, come diceva Primo Levi, “la guerra è sempre” e questo è solo un piccolo esempio di ciò che può accadere quando non si lascia spazio alla libera economia.

Per altro, nemmeno per gli Achei è una passeggiata, anche stando solo alla leggenda, la guerra dura dieci lunghissimi anni, perdono i loro migliori combattenti e, chi riesce a tornare a casa, ci mette altri dieci anni (vedi Ulisse), oppure viene ammazzato male dalla moglie al rientro (come Agamennone).

Questa è una piccola dimostrazione del fatto che i dazi non portano niente di buono a nessuna delle parti in causa che, volenti o nolenti, hanno a che fare con essi.E, se ancora non bastasse, pensateci un attimo, “dazi” fa rima con… avete capito. Forse in traduzione si perde un po’ il senso, ma se ci fosse tra di voi qualche anglofono che voglia far pervenire la versione adeguata al megapresidente, io e il mondo intero ve ne saremo grati.

Lascia un commento