Catullo era un ragazzino.
Sì, è morto a trent’anni, dunque quando ha scritto il suo famoso Liber ne aveva… boh, precisamente non si sa.
Fatto sta che ha combinato un bel casino.
E va bene che i trenta del 54 a.C. non sono i trenta di oggi, ma non è forse vero che quando ci immaginiamo un poeta antico, specie del suo calibro, ce lo figuriamo con la barba bianca, le mani che tremano, sicuramente saggio e forse un po’ vaneggiante?
Ecco, per Catullo scordiamocelo, forse lui non ce l’aveva neanche la barba.
Tipo Kurt Cobain o Amy Winehouse. No, Catullo non ha aperto la tradizione dei maledetti ventisette, ma si è spinto un po’ dopo e, quando è morto, Cornelio Nepote ha preso il suo libro, l’ha riordinato e reso famoso: il libro di una ragazzino un po’ scemo.

Sì, Catullo non voleva fare la poesia epica e nemmeno quella civile.
Lui voleva parlare d’amore, di sé, di quanto quella Lesbia là gli facesse male… e bene, perché a Catullo piacevano i contrasti: gli piacevano così tanto che ha cominciato a incrociare generi, come avevano fatto prima i greci Callimaco e Teocrito (per i latini era importante avere un riferimento illustre che li legittimasse, e lui era innovativo sì, ma mica stupido) con elementi epistolari, encomiastici, trenodici, erotici e tutta quella roba lì, dando la possibilità ai suoi successori di affermarsi con l’elegia, genere ormai strafamoso.
Catullo non era un elegiaco, ma tra i poetae novae, al massimo era uno che, per sua stessa ammissione, parlava di nugae, cioè sciocchezze, era anche uno coraggioso, però: non a caso l’unico della sua cerchia di amici poeti ad aver spaccato e ad essere ricordato ancora oggi.
Ma perché piaceva così tanto e noi lo studiamo ancora oggi? Ma avete mai sentito che robe scriveva?
Immagina che la tua ragazza ti abbia lasciato e tu stai malissimo. E allora vai su instagram. Siete rimasti follower tu e lei. E allora, scorrendo nel feed, vedi una foto: incollato alla tua ex ragazza c’è questo tizio spesso: sarà almeno il doppio di te, poeta quasi elegiaco, sfigato e senza barba.
Allora fai una storia, una di quelle solo di testo, che però non è “Cazzo, porcalatroia, vai in culo schifoso fighetto milanese mangiamerda”, ma è “Ille mi par esse deo videtur” che vuol dire “Egli sembra simile a un dio”.
Catullo avrebbe fatto così: perfetto, liscio, il metro è una strofa saffica minore, è una traduzione di Saffo, sì, proprio la grande poetessa greca, dunque mica la prima venuta, ma una che d’amore s’è ammalata sul serio.
“Egli mi sembra simile a un dio, mi sembra, se è lecito, superare gli dei, lui che sedendo di fronte, ti guarda di continuo e ti ascolta ridere dolcemente.”
È così, questo amore è stato talmente intenso, io sono così straziato da questa storia che la faccio diventare poesia.
Pure lui, il fighetto da niente, diventa oggetto di poesia e si trasforma in un dio agli occhi di Catullo.
E mentre gli altri al suo tempo parlavano di eroi e di fondazioni e guerre, lui mostrava più forza dei soldati, cantando quanto è cretino a volte uno innamorato.
Sapete che ha detto a un certo punto?
Nel carme 72, ormai certo del fatto che Lesbia era venuta meno alle sue promesse (lei gli aveva giurato amore, un amore eterno), Catullo si rassegna e diventa consapevole del fatto che non si può tornare indietro, perché non sarebbe più lo stesso.
Però conclude il componimento dicendo: “Quod amantem iniuria talis cogit amare magis, sed bene velle minus” (Poiché una tale offesa costringe chi ama ad amare di più, ma a volere meno bene).
Per i latini il bene velle era l’amore vero, quello spirituale, lo stesso che lega i padri ai figli, l’amare invece è l’amore sensuale, carnale.
E Catullo ammette, un casino di secoli fa, una cosa che noi ancora oggi facciamo fatica: il fatto che tu sia così, mi fa venire ancora più voglia di scopare, me le ricordo ancora le nostre scopate, stai tranquilla, però non ti voglio più bene, quindi basta. E quel basta è un distico elegiaco, è una forma elegante, anche se la voglia di spaccare tutto c’è.
Catullo però non ha spaccato tutto, ha solo spaccato i cuori di chi ha un po’ di voglia di leggere i suoi carmina e di leggerli pensando sul serio a ciò che quel pischello stava dicendo.
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