D’Annunzio è fascista (?)

Quando ero adolescente, D’Annunzio non lo sopportavo.

“D’Annunzio è solo un fascista”, così dicevo e dicono in tanti.

Certo, lui non era un tipo pacato: potendo scegliere, opterà sempre per gli estremi, come ad esempio aderendo ai Fasci di combattimento. La faccenda però è più complicata.

Intanto, allora quasi tutti erano fascisti – e non è una giustificazione, certo – ma lo erano i poeti che studiamo, quelli che portiamo alla maturità, non perché fossero cattivi o stupidi, ma perché non era così semplice essere antifascisti.

Ungaretti, per esempio, è il poeta di guerra che citiamo sempre per parlare di pace e a lui hanno tolto il premio Nobel proprio perché era fascista.

E okay, D’Annunzio non lo faceva solo per dovere o per salvarsi la vita, lui era eccessivo in tutto.

Conosciamo bene le sue posizioni interventiste durante la Prima Guerra Mondiale, la vicenda di Fiume, i suoi rapporti con Mussolini.

Però, in fin dei conti, com’è andata?

D’Annunzio era una personalità forte, capace di tenere quei discorsi che intrippavano folle oceaniche, da sempre, però, fan più di se stesso che di un’ideologia, esattamente come il Duce.

Ed è su questo punto che le due personalità si incontrano, Mussolini spesso ha usato maniere e simboli propri del poeta-vate per la sua propaganda, le modalità di un’altra personalità egoriferita come lui. Ed è proprio a questo punto che il grande sodalizio diventa uno scontro.

Il Regime sosteneva uno come D’Annunzio, perché era una grande risorsa, ma al tempo stesso lo teneva anche a bada.

E com’è finita?

È finita che il Duce l’ha progressivamente allontanato, isolato anche. Lo sovvenzionava, certo, perché non acquisisse più fama di lui (cosa che stava già accadendo). E alla fine D’Annunzio costruisce, a Gardone, il Vittoriale degli italiani, la villa pacchiana dove trascorre l’ultima parte della sua vita, il posto in cui le scolaresche vanno in gita, la casa che lo rappresentava, la sua ultima prigione.

Sì, perché quando D’Annunzio si trasferisce a Gardone in realtà non ha alternative. Ha scelto il Fascismo, o forse è stato scelto, ma di fatto ne è rimasto anche vittima.

E poi bisogna sempre separare l’uomo dallo scrittore. Dovremmo bruciare tutti i libri di “Harry Potter” per tutto ciò che la Rowling ha dichiarato a proposito delle persone trans?

Qualcuno ora mi risponderà “sì”. Ma la Rowling e D’Annunzio non finiscono con le loro dichiarazioni e possono essere anche degli idioti, ma la loro opera non dipende dalle persone che sono, piuttosto dagli dei. La scrittura è qualcosa di divino e non sempre gli autori sono in contatto con ciò che li rende tali.

Mi ritrovo all’università, corso di grammatica e retorica, il mio preferito. Devo scrivere una tesina, analizzare un testo famoso e mi capita “La pioggia nel pineto”.

Noooooo.

Proprio a me doveva capitare lo scrittore fascista?

Ma poi leggo e leggo a fondo. E lì cambia tutto.

D’Annunzio la sua donna, che è Eleonora Duse, si perdono nella pineta della Versilia e vengono colti dalla pioggia. E lui la chiama “Ermione” – e giuro che il riferimento alla Rowling di poco fa è casuale.

Insomma, succede che i due amanti, attraverso la pioggia che cade su di loro, come su tutti gli elementi natura, diventano essi stessi parte della natura.

Si chiama “panismo”, dal dio greco Pan, ma il risultato è un grande concerto.

Innanzitutto il testo è scritto come una specie di partitura musicale, c’è attenzione a tutto, dallo spazio dedicato alle innumerevoli figure di suono, fino alle vocali che, a seconda della posizione e della frequenza, ci offrono melodie differenti.

“Ascolta. Risponde/ al pianto il canto/ delle cicale/ che il pianto australe/ non impaura”

Notate quante “a” ci sono. La “a” è la vocale dell’apertura, dei suoni limpidi.

Poi però giunge puntuale anche un altro strumento:

“ma un canto vi si mesce/ più roco/ che di laggiù sale,/ dall’umida ombra remota./ Più sordo e più fioco”

Qui invece prevalgono decisamente la “u” e la “o”, suoni cupi, che imitano il verso della rana, appena intervenuta.

D’Annunzio non ci racconta soltanto di questa pioggia, ci fa piovere addosso.

E come fa questo testo ad essere scritto da uno che era solo un fascista?

No, non riesco a resistere, e pure io che sono scettica mi perdo tra queste piante e suoni, così tanto che divento “virente” come il poeta e la sua lei.

Mi perdo al punto che ci scrivo una tesi di laurea, “Attraversare D’Annunzio”, in cui, partendo proprio da questo testo, spiego come, volenti o non, tutti i poeti del Novecento abbiano letto e attraversato appunto il poeta-vate, prima di scrivere qualcosa di proprio pugno.

Ed è assurdo perché D’Annunzio prima era solo un fascista.

E se gli altri hanno appreso la sua lezione, lo sono tutti quanti?

“E piove su i nostri vólti/ silvani,/ piove su le nostre mani/ ignude,/ su i nostri vestimenti/ leggieri,/su i freschi pensieri/ che l’anima schiude/ novella,/ su la favola bella/ che ieri/ m’illuse, che oggi t’illude,/ o Ermione.

Disprezzo i fascisti e continuerò a farlo, ma D’Annunzio, prima di essere fascista, era ben altro. Era quello che scriveva:

“Su le soglie/ del bosco non odo/ parole che dici/ umane; ma odo/ parole più nuove/ che parlano gocciole e foglie/ lontane.”

PS: visto che oggi è il 12 marzo, buon compleanno, D’Annunzio!

Una replica a “D’Annunzio è fascista (?)”

  1. E’ quasi impossibile per gli artisti, e per i poeti in particolare, affrancarsi da una collusione forzata con un governo di connotazione ideologica estrema. O riescono a fuggire o sono reclusi, o se aderenti vengono usati e abusati e a volte anche soppressi: penso alla fine di Majakovskij. Il rischio è quello che citi tu: identificarne nel senso comune l’opera invece che l’uomo.

    E poi invece vi è il processo inverso, che sfocia nel grottesco: che tristezza vedere l’anarchico De André cantato suo malgrado al karaoke del compleanno di Salvini.

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