Credo che l’articolo sia la parte meno intuibile della grammatica italiana. Non il nome, non il verbo, proprio l’articolo. Non è un caso se gli stranieri spesso non lo usano.
L’articolo è quella parte del discorso – mi piace dire – che ti fa capire che ti trovi davanti a un nome.
Ora voi direte che il nome è più facile da riconoscere, per un motivo assolutamente tautologico: cazzo, è un nome!
E invece no. Facciamo qualche esempio: “L’amante della contessa è un gran figo”. “Amante” è il participio presente del verbo “amare”: l’unico elemento che ci consente di non prenderlo per un verbo è quella “L” sul foglio, seguita dall’apostrofo.
Perché, diciamoci la verità, tutte le parti del discorso possono essere nomi, ma solo l’articolo può fare quel mestiere.
Eh sì, l’articolo è l’escort dei nomi. Li accompagna dappertutto, fa sì che si diano un tono. Ma, come accade nella vita reale, non tutti possono permettersi un accompagnatore.
Ci sono situazioni in cui l’articolo, così come l’escort, stonano.
Siccome scrivo da Milano, partiamo subito con la moda, prevalentemente milanese, di ficcarlo in situazioni come: “Figa, viene anche la Ludovica.” Intercalare a parte, per guadagnarmi una milanesità che non mi appartiene, l’articolo non può stare davanti a Ludovica. È ridondante. “La” infatti è un articolo determinativo e serve per indicare che ci troviamo proprio di fronte a quella cosa e non una a caso: “La casa” è diversa da “una casa”.
Ludovica però, almeno in quel contesto comunicativo, è già nota, tanto che, rileggiamo la frase, la sua presenza suscita un certo stupore, giustificato appunto dall’intercalare imbarazzante.
Questa è la norma generale: articolo e nome proprio devono stare a distanza. Ordinanza restrittiva.
Però, udite udite, ci sono invece casi in cui l’articolo, non solo è consentito, ma è necessario.
Si può usare, ad esempio, davanti a un diminutivo, o a un nickname: “Figa, viene anche la Ludo”, oppure “Figa, viene pure la Chicca86bsx” (in caso di incontro online).

In questi casi è accettato, forse più che altro, per una consuetudine che si è affermata nel tempo. Già detto, la lingua la fanno i parlanti e, dopo un po’, l’accademia della Crusca, su certe questioni, dichiara soltanto: “Fate un po’ il cavolo che vi pare”.
In questo caso la scelta, del resto, è abbastanza ininfluente. Ci sono situazioni, però, in cui l’uso o meno dell’articolo può essere fondamentale.
Il cognomi che sono associati a un maschio, infatti, non necessitano dell’articolo determinativo, come gli altri nomi propri, mentre, se appartengono a una donna, vogliono l’articolo, proprio per non generare casi di ambiguità.
“Ho baciato la Michelerio” (che sono io), è diverso da “Ho baciato Michelerio” perché, nel secondo caso, lo scrivente potrebbe tranquillamente aver baciato mio padre o mio cugino, mentre, nel primo, o me o una donna della mia famiglia. È importante, per evitare gelosie e fraintendimenti.
Ma, attenzione, nel caso di personaggi storici o di una certa rilevanza nei secoli, ecco che di nuovo l’articolo si può mettere: “Il Manzoni diceva che il romanzo storico era una figata”. In questa situazione, oltre al contesto, l’articolo ci permette subito di capire che stiamo parlando di Alessandro e non del meno autorevole, ma comunque interessante, Piero, padre della celebre “Merda d’artista”.
Quando si indica un nucleo famigliare nella sua collettività, l’articolo ci vuole: “I Ferragnez hanno fatto una nuova story” e non “Ferragnez hanno fatto una nuova story”, in quest’ultimo caso non sapremmo se guardare il profilo instagram di Fedez, di Chiara o dei bambini.
Con i nomi di città bisogna stare attenti perché “Ho visto Roma” è diverso da “Ho visto la Roma”, nel secondo caso infatti il parlante doveva trovarsi allo stadio, ma non per forza nella capitale.
Anche se non si dovrebbe, tutti compriamo online e dunque sappiamo che il signor Amazon ci avverte sempre: “Hai un articolo nel tuo carrello”. Bene, la prossima volta, prima di cliccare “compra”, facciamo attenzione ai nomi propri.

Scrivi una risposta a Betty Cancella risposta