
Oggi ho assegnato un tema in prima: “Come ti vedi tra vent’anni, quando avrai l’età della prof”. Non è particolarmente originale, ma mi faceva ridere. E poi sono curiosa di sapere quali siano le aspettative di questi ragazzi con cui, volente o nolente, passo gran parte del mio tempo.
M. di anni ne ha 14, quindi tra venti sarà anche un po’ più giovane della sua prof., ma scrive un testo di un’amarezza tale che potrebbe essere la mia gemella.
Il suo elaborato consiste in una lettera a un certo L., un amore di gioventù, dichiara – anche se nella vita di lei quattordicenne probabilmente è una pena attuale.
M. racconta a lui, lontano nel tempo e nello spazio ormai, di una vita fantastica da adulta, in compagnia di un uomo meraviglioso e di una figlia che ama più di ogni altra cosa.
Nonostante i toni entusiasti, dalla lettera traspare una grande nostalgia per questo L., per un amore che forse entrambi avrebbero voluto, ma che di fatto non c’è mai stato.
Mi sono commossa e raramente mi capita (a meno che il tema non sia pieno di errori e fregnacce e allora piango per un altro motivo).
Ha proprio ragione chi diceva che non ci riprendiamo mai dai nostri primi amori (forse era Cunningham, ma non ricordo in quale romanzo).
La brutta notizia per M. è che questa nostalgia, che lei proietta in un futuro ipotetico, non è una roba che passa con l’adolescenza. O almeno, certi amori se la trascinano dietro anche fino ai trenta o ai quarant’anni.
La nostalgia non è mancanza. La mancanza è una mutilazione, una cosa irreversibile, mentre la parola “nostalgia” viene dai “nostoi” che in greco sono i ritorni.
Il ritorno degli eroi dalla guerra di Troia, nello specifico. Poi, si sa, dopo una guerra, non è detto che proprio tutti ritornino.
Penelope passa vent’anni a tessere e sciogliere una tela. Agamennone combatte e viaggia e sopravvive, per poi essere assassinato dalla moglie, una volta rientrato. Achille invece non abbraccerà mai più la madre Teti.
È il Fato, direbbero i Greci.
Che cazzotto però ‘sto destino.
La speranza di un ritorno è peggio di un non ritorno. È una malattia da cui non si guarisce più e poi, alla fine, ci si affeziona pure a questo dolore.
Cara M., non so cosa augurarti. Forse che L. passi, perché sei troppo giovane per lasciar già sanguinare una ferita del genere, ma in realtà, ti rivelo, vale la pena anche di soffrire per un amore per cui avremo per sempre nostalgia.
Intanto, cara M., beccati il tuo meritato 9.

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