Dei delitti, della GPA e delle pene

C’è chi pensa che un insegnante dovrebbe insegnare la propria materia e basta.

Io non credo sia così, perché i contenuti con il tempo passano: del resto, guardando all’infinità dell’universo, quanto è effettivamente grave un 4 in analisi logica?

Ve lo dico io, non conta niente, il 4 si recupera. Ciò che non si recupera più sono i valori e l’esempio.

Ed io cerco di fare questo in classe, dare il buon esempio e, se posso, usare gli autori, che conosco e amo, come buon appiglio, non tanto per insegnarci la grammatica, ma per aiutarci a diventare pensatori liberi e intelligenti.

Oggi voglio chiamare a raccolta Cesare Beccaria.

Il gossip che tutti conoscono di lui è che era il nonno di Manzoni. Bella lì.

Ma l’informazione più importante è che, nel ‘700, in un’Italia in parte dominata dall’impero asburgico, dall’altra fatta a pezzi da secoli di guerre, Cesare scrive un trattato super figo contro la pena di morte – il che equivale più o meno, ai nostri giorni, a creare un intero podcast a favore della GPA, ma su questo punto ci torneremo.

Okay, è il periodo dell’Illuminismo, il movimento che nasce in Francia e, in sintesi, invita tutti a usare la ragione. Comunque sia, Illuminismo o no, non è facile, neanche per un grande pensatore, far ragionare la gente.

La figata è che Beccaria non usa la forza, ma solo il potere di un’argomentazione solida e di una retorica fine. Così convince un sacco di potenti che la pena di morte è sostanzialmente una stronzata. Come sono belle e utili le parole se usate nella maniera giusta.

Il punto è che il suo non rimane solo uno scritto fine a se stesso, ma viene letto e accolto dai potenti: alcuni princìpi da lui affermati entreranno stabilmente nel diritto europeo.

Certo, Beccaria non diffonde il suo punto di vista a cuor leggero, la prima volta pubblica il suo pamphlet in forma anonima perché ha paura delle ripercussioni (timore che di fatto si avvera lo stesso). “Dei delitti e delle pene” però, fuori dall’Italia, ha il successo che merita. L’edizione francese viene addirittura commentata da Voltaire. Inoltre la zarina Caterina II di Russia (in una Russia molto diversa da quella di oggi) resta molto colpita dal testo e invita Beccaria ad associarsi come consigliere nei progetti di riforma del suo governo.

La strada per abolire la pena di morte è ancora lunga, ma intanto qualcosa si è smosso.

In Italia ci vuole un pochino di più.

Ai tempi di Beccaria la pena di morte era già stata esclusa dal Granducato di Toscana, poi verrà definitivamente respinta dalla legislazione italiana una volta raggiunta l’unità.

Dunque questa sanzione disumana sparisce dal nostro Paese, se non per una triste parentesi, aperta, guarda un po’, da Mussolini, che la farà tornare in vigore per il tempo del fascismo, con un movimento di mistificazione intellettuale pari solo alla modalità in cui il nostro governo opera oggi (probabilmente di questo vi parlerò meglio in un altro articolo).

A questo punto vi chiederete che c’entri tutto questo con la GPA. E fate bene, perché mo’ ve lo spiego.

Da qualche settimana la gestazione per altri, in Italia (il paese di Beccaria, ahimè), è diventata reato universale. Il che significa, per essere spiccioli, che è paragonata a reati quali il terrorismo che, anche se commessi altrove, vengono puniti severamente.

Non discuterò della GPA in sé, anche perché non credo di essere abbastanza competente, ma della ragione del provvedimento che, pena di morte style, è stato scelto perché vuole dissuadere le persone dall’affidarsi a questa modalità per mettere al mondo figli.

Posso dirlo? Enorme cazzata. Ce lo spiega Beccaria: le pene severe non sono un deterrente (anche nei paesi in cui c’è la pena di morte, infatti, gli omicidi avvengono lo stesso): “fa sì che commettano più delitti; per fuggir la pena di uno solo”

Ma il punto non è neanche questo, l’aspetto più atroce di questa legge è che colpisce, sì, coppie di ogni sorta, ma viene ideata in maniera specifica per punire le coppie omogenitoriali. Non è un segreto.

E poi ci stupiamo che alla proiezione per le scuole del film “Il ragazzo dai pantaloni rosa” siano volati dalla platea di studenti fischi e insulti omofobi. Ma come possiamo noi docenti insegnare il rispetto agli studenti, quando sono governati da uno Stato bullo e omofobo?

A me non sembra tanto diverso da uno Stato che punisce un omicidio con un altro omicidio.

“Parmi un assurdo che le leggi, che sono l’espressione della pubblica volontà, che detestano e puniscono l’omicidio, ne commettono uno esse medesime, e, per allontanare i cittadini dall’assassinio, ordinino un pubblico assassinio.” Disse il mio amico Cesare B.

Io non ci sto. Nel momento in cui è stata approvata questa legge, ho scelto di leggere in Prima liceo il romanzo “Sei come sei” di Melania Mazzucco (che, tra l’altro, vi consiglio). È la storia di una bambina con due papà e, senza spoiler, quando uno dei due muore, la sua vita diventa un vero incubo, non solo per la terribile tragedia, ma perché l’ordinamento italiano non tutela l’altro padre e non riconosce la sua famiglia che, checché se ne dica, intanto esiste.

Ora i maligni diranno che tratto questi argomenti perché sono una professoressa lesbica e incazzata. Liberi di pensarlo, ma no. Lo faccio perché sono un essere umano e non voglio essere responsabile di aver educato un nuovo Salvini o una nuova Meloni. La cosa più importante che posso fare è insegnare ai miei alunni questo: a condannare sempre il bullismo ed essere umani. 

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