a K.

“Ripenso il tuo sorriso, ed è per me acqua limpida”

È l’Esame di Maturità del 2008, nella prima prova scritta esce Montale. Cazzo.

Montale è uno di quelle persone che spende tutta la sua vita per capirne il senso (sì, il senso della vita intendo) e alla fine non ci arriva, o, per lo meno, non raggiunge una soluzione univoca. Insomma, se lui non ci ha capito niente, come possiamo capire noi?

Non importa, i candidati si ritrovano comunque questo testo da comprendere e analizzare:

“Ripenso il tuo sorriso, ed è per me acqua limpida | scorta per avventura tra le petraie d’un greto | esiguo specchio in cui guardi un’ellera i suoi coriambi | e su tutto l’abbraccio di un bianco cielo quieto.”

Non preoccupatevi, è normale non capire il 50% delle parole presenti in questi quattro versi (che cavolo è un’ellera?), ci sta. Se andiamo avanti a leggere, però, noteremo che il peggio deve ancora arrivare, perché la traccia d’esame ci chiede di parlare del ruolo salvifico della donna in Montale.

E fidatevi, si tratta di un tema che non si ferma a Montale, ma va all’indietro fino a raggiungere anche Dante e mezza letteratura occidentale.

Okay, scegliamo questa traccia e cominciamo a svolgerla. Al di là dei paroloni che ci accecano come abbaglianti in autostrada, in alto a destra scorgiamo una sigla enigmatica, una dedica: “a K.”

Che questa poesia sia stata scritta per una certa Katia? Aspetta, ripassiamo le donne di Montale: c’è stata Irma, Dora, Liuba, ah, ovviamente l’amata Drusilla, alias Mosca, poi Arletta-Annetta, amica d’infanzia, e anche altre, ma nessun nome o pseudonimo che inizi con quella fantomatica “K”.

Che sia Baby K?

Va bene, svelo subito il mistero: non riusciamo a trovare nessuna donna con la K, perché questa poesia non è dedicata a una donna, bensì a un uomo, il ballerino russo Boris Kniaseff, amico di Eugenio.

No, non si tratta del coming out di Montale, non credo fosse gay, ma neanche bisex, e in realtà non è che mi importi particolarmente.

Penso solo alla ragione di un errore così sciocco e leggero (da parte di chi si dice esperto di Montale e di poesia), ma soprattutto mi chiedo come abbiano fatto quell’anno i ragazzi (non era la mia Maturità) a svolgere questo tema.

“Codesto è il mio ricordo; non saprei dire, o lontano, | se dal tuo volto si esprime libera un’anima ingenua, | vero tu sei dei raminghi che il male del mondo estenua | e recano il loro soffrire con sé come un talismano.”

La poesia parla di un incontro, fuggevole probabilmente, con il destinatario: qualcosa che scappa dalla quotidianità, dalla “memoria grigia” del poeta e diventa monito per tutti a fare ciò che Montale ha sempre fatto, ossia dare un senso all’esistenza.

“Ripenso il tuo sorriso” è una frase potente, ne ho già parlato, perché un verbo intransitivo viene usato transitivamente, tipo “Salgo la spesa”, per intenderci.

Ma non è solo questa rottura a dargli valore. Il sorriso di Boris è impassibile, imperturbabile, tanto che Montale è spinto a chiedersi: allora esiste davvero qualcuno che dentro non ha il “male di vivere”?

La faccio semplice, ma è quello che mi chiedo anch’io quando leggo questo testo e penso a Boris. Sarà vero che si può accedere alla vita con un sentimento così distaccato?

Boh. Magari sì, io non so dare risposte. Fatto sta che questa immagine per Montale “sommerge i crucci estrosi in un’ondata di calma” e a lui per stare bene basta parlare dell’amico ballerino come “anima ingenua”, non intaccata dal male del mondo. E forse pensare, anche solo per un’istante, che sul pianeta terra esista qualcuno di così serafico, in pace, ci può far sentire meglio a nostra volta.

Potrei raccontarvi, ma l’avrete capito, che è un testo difficilissimo, versi vagamente esametrici, un sacco di riferimenti culturali, D’Annunzio, Foscolo, Sbarbaro, addirittura l’Odissea dove Ulisse, come fa Eugenio con Boris, paragona Nausicaa a una giovane pianta di palma – scusate questa era troppo bella, dovevo dirvela.

Ma non è qui che voglio arrivare. E nemmeno voglio denunciare il governo omofobo del 2008 (sì, ora lo faccio in continuazione, ma è un’altra storia), e non voglio neanche insinuare che la Commissione per l’Esame di Stato fosse distratta o superficiale, non ci credo.

È più facile riflettere sul fatto che in una cultura machista, come la nostra, susciti un certo stupore l’idea di un uomo che dedica una poesia così tenera e delicata a un altro uomo.

È un tema che oggi si discute, poi si accantona, ci si fanno le lezioni di educazione civica e poi, gira e rigira, ti viene un groppo in gola se tuo figlio a carnevale si vuole vestire da principessa, perché in fondo il pensiero sotteso rimane uno: i maschi devono fare cose da maschi e le femmine viceversa.

Dedicare una poesia a un caro amico non è evidentemente cosa da maschi (anche se, pure su questo punto, lo stesso Dante avrebbe da ridire).

Teoria gender, modo di pensare non binario, ecc. sono solo modi di dire che nascondono una verità tanto banale quanto inaccettabile: non esistono cose da maschio o da femmina, sono solo invenzioni di chissachi.

Se me l’avessero rivelato da piccola, la mia vita sarebbe stata più facile, forse, ma Montale, nel suo essere libero, nella sua ostinata ricerca della verità, scrive una poesia di amicizia e di speranza e dice, a tutti noi, che il dolore si può combattere, di qualsiasi natura esso sia, e lo dice anche alla me bambina che giocava con le Tartarughe Ninja e che si rifiutava di indossare le gonne.

Perciò questa è – e resterà sempre – una delle mie poesie preferite.  

“Ma questo posso dirti, che la tua pensata effigie | sommerge i crucci estrosi in un’ondata di calma, | e che il tuo aspetto s’insinua nella memoria grigia | schietto come la cima di una giovane palma.”

PS: ai piccoli cuori che hanno cliccato su questo link solo per sapere del mio tatuaggio, lascio una fugace quanto chiara diapositiva. 

 

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