Il compito di una prof, soprattutto se vuole essere pop, non è solo spiegare quel che riportano i libri di testo. E, no, non sto per fare un discorso in stile Attimo fuggente in cui vi chiedo di strappare i vostri manuali di poesia, voglio solo che i miei studenti sappiano guardarsi anche intorno. Per questo spesso propongo loro un film in classe (anche se spesso il cineforum si trasforma nell’ora della pennica), oppure tutti insieme leggiamo un po’ di letteratura contemporanea.
“Storia della mia famiglia” è una miniserie italiana, la trovi comodamente su Netflix, è troppo lunga per una proiezione in classe e non ha dentro niente di letterario. Appena l’ho vista però, non ho potuto fare a meno di parlarne ai miei studenti e dunque anche a voi, piccoli cuori.
Da quando esiste l’uomo, esistono anche i miti che sono il modo dell’uomo per spiegare le cose che non conosce. Quindi la narrazione, in qualsiasi forma sia, è il modo più esplicito per inviare a un destinatario ciò che si ha urgenza di dire. Il segreto del successo è il modo in cui narriamo: anche la storia più bella, se raccontata male, perde il suo appeal, nonché la sua utilità.
“La mia famiglia” è proprio questo, una forma di narrazione giusta per lasciar passare un messaggio importante.
ATTENZIONE: (Mezzo) spoiler alert
Il protagonista è Fausto, anche se Fausto muore alla fine della prima puntata. Lui infatti è un giovane padre malato terminale. La sua ex moglie è pazza (ma proprio con il botto) e allora lui, prima di morire, deve trovare il modo di affidare i suoi figli alle persone giuste. Ercole e Libero hanno due nomi potenti e il padre vuole per loro un futuro grandioso, soprattutto considerando che lui non ci sarà, dunque, anche se forse con un po’ di delirio di onnipotenza, cerca di guidare i loro destini.
Fausto, al contrario della ex, in fin di vita mantiene ancora tutte le proprie facoltà mentali, eppure, come tutori, sceglie le persone che sembrano tra le meno affidabili al mondo. In primo luogo sua madre, residente a Ercolano, inchiodata alla propria routine e assolutamente contraria a trasferirsi a Roma, dove i bimbi hanno il loro intero universo. Lei è una donna sostanzialmente egoriferita che non si arrende al passare del tempo e che spesso si ingarbuglia in relazioni con uomini sposati, spesso molto più giovani di lei.
Poi c’è Valerio, il fratello del protagonista, un Massimiliano Caiazzo in formissima che a quanto pare può essere molto di più di Mare Fuori. Valerio è un tipo buttato nel mondo a caso: eternamente disoccupato, vive con la madre che non sopporta, ha parecchi problemi con la droga, anche se, in maniera un po’ sgangherata, prova a superarli.

Infine ci sono Maria e Demetrio, i due amici storici di Fausto. Maria vive nel terrore, barricata dietro all’amore impossibile per Fausto, per evitare qualsiasi tipo di relazione. Demetrio invece è da sempre innamorato di Maria, ma non ha il coraggio di confessarglielo. È superdepresso, affronta la vita con una buona dose di apatia e arrendevolezza: Demetrio è l’inetto dei romanzi di Svevo, il marito inutile di Madame Bovary, un uomo che vive nel riflesso dell’amico geniale e che, per quanti sforzi faccia, non riuscirà mai a eguagliare.
Insomma, il ritratto appena fornito non sembrerebbe quello idoneo per la tutela di due bambini. Fausto però è ostinato, è una personalità vulcanica, uno a cui non si può che voler bene, il classico tipo travolgente che riuscirebbe a vendere anche il ghiaccio agli eschimesi, ma soprattutto è fermamente convinto che, se queste persone di per sé non sono in grado di combinare un granché, insieme invece saranno la famiglia perfetta in cui far crescere i suoi figli. L’idea rivoluzionaria di Fausto è che l’amore che ciascuno di questi individui prova per lui, se moltiplicato per quattro, creerà uno scudo abbastanza resistente anche per i suoi bambini.
E il messaggio più importante è proprio questo, ossia che Fausto ha ragione. Adesso faccio un riferimento letterario, ma non uno che troverete sulle antologie: si tratta di Michela Murgia, ossia una delle più grandi pensatrici del nostro tempo. Lei diceva che la famiglia non deve essere per forza quella di sangue, ma quella che viene dal cuore, “Figli d’anima”, così li chiamava lei.
La “pericolosità” di questo modo di ragionare, e cito un’altra corrente di pensiero (quella in fondo a destra, come i bagni, per intenderci), è che così autorizzeremmo le coppie omosessuali a fare figli come conigli. Ma questa serie parla anche ai partecipanti del Family day e dice loro che neppure le cosiddette famiglie tradizionali sono poi così normali e che la legge italiana, che dovrebbe tutelare i minori, a volte, nella rigida osservazione delle norme, fa solo il loro male.
L’amore fortissimo, che i bislacchi protagonisti di “Storia della mia famiglia” provano per Fausto, di fatto tiene Ercole e Libero al sicuro, anche se un giudice deve ancora decidere se forse i due bambini non starebbero meglio con la mamma che, di fatto, non si mostra in grado di prendersi cura neanche di un cestino di frutta secca, figuriamoci di due creature.
Insomma, forse questa non è una lezione di letteratura, o almeno non ancora, ma è comunque utile.
Specie in un’Italia che non vuole che a scuola si parli di questi argomenti, credo sia dovere di ogni prof far sapere agli studenti che, come diceva Montale, la realtà non è solo quella che si vede. E allora dico grazie a questa storia, a tutti i suoi attori che ci fanno ridere, piangere come vitelli, ma soprattutto, imparare senza pretese.

Lascia un commento