Arianna piantata a Nasso

La storia di Arianna e Teseo riguarda Creta e il Minotauro e viene dopo a quella, forse anche più celebre, di Dedalo e Icaro, anche se ambientata nello stesso posto.

Ma partiamo dall’inizio.

Minosse, era il leggendario re dell’antica Creta, che passa alla storia per il suo senso di giustizia, tanto che Dante lo mette all’inferno, non come utente, ma come giudice. È proprio lui infatti che decide in quale cerchio spedire le anime dei peccatori: un compito non da poco, ma lui è sicuramente all’altezza, Dante lo sa e si fida.

Non si sa se Minosse sia esistito veramente o meno, anche perché il suo nome significa semplicemente “re”, dunque tutto potrebbe essere. Ma il punto è che, nonostante la sua fama integerrima, una cazzata anche lui l’ha fatta: si dimentica infatti di sacrificare un toro a Zeus. Così il padre degli dei, che ha uno strano senso dell’umorismo, fa innamorare la moglie di Minosse di quel toro.

Da questa bizzarra relazione illecita – che neanche pornhub –, nasce un figlio mostruoso, il Minotauro, mezzo uomo, mezzo toro, più bestia che altro. Tant’è vero che il padre lo rinchiude in un labirinto e, per nutrilo adeguatamente, deve procurargli dei sacrifici umani.

Così la città di Atene, che allora era assoggettata a Creta, è costretta, ogni nove anni, a fornire un tributo: sette fanciulli e sette fanciulle che vanno puntualmente a morire, divorati dal Minotauro. Una specie di “Hunger Games” ante litteram, insomma, ma senza la possibilità di uscirne vivi.

Un giorno però decide di partire per Creta, come tributo, Teseo che è il figlio del re di Atene. Non è un suicida e neanche un masochista, ma è convinto di poter sconfiggere il mostro e spezzare così il giogo che pesa sulla sua città.

Il padre non è convinto e, distrutto dall’ansia, gli chiede solo un favore, di issare delle vele bianche sulla sua nave nel caso fosse tornato vivo. Al contrario, se non ce l’avesse fatta, il suo equipaggio avrebbe dovuto mostrare le vele nere della partenza.

Comunque, non appena arrivato a Creta, Teseo conosce la sorella del Minotauro, Arianna, quella normale, una bella figa.

E anche Teseo è un figo non trascurabile, dunque è ricambiato, al punto che è proprio Arianna a salvare il nostro eroe. È lei infatti che inventa il famoso stratagemma del filo: lei tiene il gomitolo, mentre Teseo, che si inoltra nel labirinto, afferra l’altro capo. In questo modo uccide il Minotauro, da valoroso, e trova agilmente la strada per uscire.

È fatta, una coppia perfetta, amore eterno, quei due funzionano come la migliore delle squadre, tanto che Arianna decide di tornare con lui.

I due approdano sull’isola di Nasso, dove hanno una notte di fuoco. Tutto bellissimo, da favola, se non fosse che Teseo, la mattina dopo ha splendida idea di scaricare Arianna là da sola sull’isola.

Da qui viene l’espressione “piantare in asso”, da Arianna che è stata mollata a Nasso. Una tragedia.

Lei ovviamente si dispera, ma è Ovidio, grande poeta latino, appassionato di mitologia e di amori, a far sentire la sua voce.

Lui infatti scrive le “Heroides” che sono lettere in distici elegiaci da parte di una serie di donne del mito. Un linguaggio che non è epico, ma affettivo, la possibilità di far sentire le proprie ragioni e dolori a quegli uomini che spesso non sono stati gentili con loro. Tra queste eroine c’è ovviamente anche Arianna.

Nell’epistola X, la troviamo appunto sull’isola di Nasso. Appena sveglia, tocca il lenzuolo e là, nella parte del letto dove avrebbe dovuto trovare Teseo, non trova nessuno. Allora corre sulla spiaggia, sale pure su una specie di monte, urlando il nome di lui, quando vede qualcosa in lontananza. All’orizzonte la nave di Teseo sta prendendo il largo: ora lei non ha più dubbi, l’ha effettivamente abbandonata.

Ma cazzo, lei a quel Teseo aveva pure salvato la vita e la carriera da eroe!

Inoltre mo sta lontana da Creta, da sola, ci potrebbero essere delle belve feroci sull’isola, chi lo sa? Non è previsto il passaggio di navi e lei non ha neanche un pallone su cui dipingere una faccia per poi chiamarlo Wilson.

E allora che fare? Niente se non cedere alla disperazione.

“Si non audires, ut saltem cernere posses,/ iactatae late signa dedere manus;/ candidaque inposui longae velamina virgae, /scilicet oblitos admonitura mei.”

Agitando le mani feci ampi segni perché, se tu non potevi udirmi, mi potessi almeno vedere; applicai poi a un lungo bastone un candido velo, per richiamare l’attenzione di te che mi dimenticavi.

Probabilmente Arianna è nuda, appena sveglia, terrorizzata, così allora fa un ultimo, disperato tentativo, cerca di richiamare l’attenzione di lui con tutte le armi che ha disposizione: il corpo, il bastone con le vesti a mo’ di bandiera, naufraga, perduta, che però sa già la triste verità, tradotto alla lettera: “per richiamare l’attenzione di chi certamente si era dimenticato di me”.

Quante volte ci siamo sentiti così soli, come su un’isola deserta?

Quante volte abbiamo sventolato la nostra bandiera per richiamare l’attenzione di qualcuno che, anche se seduto solo nell’altra metà del letto, non riesce a vederci?

Quante volte abbiamo ceduto al pensiero disperato di qualcuno che, mentre noi piangevamo, ci stava dimenticando?

Questa sensazione forse è perfino peggio dell’essere abbandonati su un’isola deserta. Una ferita che non si rimargina, un’umiliazione indelebile.

Su quel che succede dopo ad Arianna le leggende non sono concordi, Ovidio non ce lo dice, ma tutti lasciano intendere che probabilmente lei non sopravvivrà a lungo.

Quanto a Teseo invece, ora sta veleggiando tranquillo alla volta della sua città, ma ancora non sa che gli dei non ne fanno passare una. 

Dimentica infatti l’accordo preso con il padre prima del viaggio. Non issa la vela bianca, simbolo della sua vittoria, ma lascia la vela nera della partenza.

Egeo, il padre, vedendo la nave da lontano, pensa dunque che il figlio sia morto e, disperato, si butta nel mare di fronte che, da quel momento, prende appunto il nome di Egeo.

Cosa insegna la storia di Arianna e Teseo?

Prima di tutto, come dice sempre un mio amico, esistono persone portate naturalmente a far star bene gli altri e non se stessi. Come Arianna, questi sono destinati a essere infelici, anche se non vorrebbero. Non sono capaci di comportarsi diversamente. Però, come ci insegnano gli antichi, a volte non possiamo far altro che accettare il volere del Fato.

Secondo, se, come Teseo, avete in mente di fare una stronzata o l’avete appena fatta, cercate di rimediare, fate inversione e riportate la nave a Nasso e date almeno una spiegazione alla vostra povera Arianna, soprattutto se per un po’ di tempo vi ha fatto un gran bene.

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