Orfeo è un coglione.
Ma non poteva aspettare ancora un attimo?
Chi sarebbe stupido come lui?
Il mito di Euridice e Orfeo è uno di quelli più inflazionati. Lo riprendono Ovidio e Virgilio, per dire due nomi importanti, ma la mia versione preferita resta quella di Poliziano.
Procediamo con ordine però.
Euridice e Orfeo sono due giovani sposi, innamorati di brutto, tipo quelli sempre appicciati, che si tengono costantemente per mano e gli amici li prendono in giro perché sono tutti picci picci. Orfeo è anche un cantore, un poeta che spacca, scrive delle robe bellissime, tipo il Jimi Hendrix della lira, probabilmente la sua Euridice l’ha conquistata proprio così, cantandole quei pezzi composti apposta per lei.
Un brutto giorno però Euridice viene morsa da una serpe e muore sul colpo. Com’è triste aver vent’anni. Sì, ma soprattutto nell’antichità.
Orfeo però non si rassegna e scende fin negli Inferi per recuperarla. Una volta lì, cerca di convincere Plutone, dio infernale con poca diplomazia, a restituirgliela e lo fa con l’unica arma a sua disposizione, la poesia.
A quel punto, persino quel dio scontroso si commuove e gli offre una possibilità. Orfeo riprenderà la sua strada verso il mondo dei vivi. Euridice lo seguirà, ma, lungo il tragitto lui non dovrà assolutamente voltarsi a guardarla.
Insomma, una sola cosa non doveva fare.
Così Orfeo va e cammina, commina, è felice, ma non sa resistere, a un certo punto, si volta. Nello stesso istante Euridice sparisce per sempre.
Virgilio, quando lo racconta nelle “Georgiche”, insiste sul verbo “respicere” che significa proprio “voltarsi indietro”, come a segnalare per bene il punto di non ritorno, l’attimo in cui ci accorgiamo di aver fatto qualcosa di irreparabile.
Ovidio invece, nelle “Metamorfosi”, ci fa sapere che addirittura le Furie, creature tremende dell’oltretomba, sempre incazzate, scoppiano a piangere quando sentono la canzone di Orfeo.
Ma è Poliziano che fa la vera differenza.

Lui è un poeta rinascimentale, un altro con la moda di farsi mantenere dalla corte, quella medicea nello specifico. Ma è per un matrimonio in casa Gonzaga, invece, che scrive la “Favola di Orfeo”, un testo teatrale che ha un impianto classico, del resto le rappresentazioni di questo tipo andavano di moda, solo che di solito erano opere di argomento religioso.
E Poliziano se ne sbatte e il suo diventa il primo testo teatrale pagano, espressione di un’epoca dove Dio smette di essere al centro della vita di tutti gli esseri umani.
Ci sono altri valori per Poliziano e per gli uomini del suo tempo, la poesia, ad esempio. La poesia ti può salvare la vita, la poesia piega e cambia il tuo destino, la poesia può sconfiggere anche la morte.
E in un tempo come il nostro, in cui la poesia sostanzialmente è un genere che non vende, la salvezza dovrebbe essere ancora la sua precisa funzione.
“I’ son contento che a sì dolce plettro/ s’inchini la potenza del mio scettro.”
È Plutone a pronunciare queste parole: perfino il suo terribile potere da divinità degli Inferi non ha più forza di fronte alla bellezza di quel canto.
Resta ancora un problema, però.
Tutte le volte in cui parlo di questo mito a scuola, qualcuno mi chiede sempre la stessa cosa: Perché Orfeo si è voltato? Non poteva aspettare ancora un attimo? Chi sarebbe stupido come lui? Orfeo è proprio un coglione.
Nella storia e nel mito ci sono molte prescrizioni a proposito degli occhi e dello sguardo. Pensiamo a Medusa, la Gorgone che pietrificava chiunque la guardasse e Perseo che riesce a sconfiggerla perché è l’unico che non la guarda direttamente.
Pensiamo alla distruzione della città di Sodoma e agli angeli, incaricati del massacro, che fanno una soffiata a Lot e alla sua famiglia e suggeriscono loro di andarsene, ma di non voltarsi mai a guardare la città maledetta. La moglie di Lot però se ne sbatte delle prescrizioni e per punizione viene trasformata in una statua di sale.
Edipo, quando scopre che la profezia si è avverata, e lui effettivamente ha ucciso il padre ed è andato a letto con sua madre, decide di cavarsi gli occhi, tanto è preso dal dolore e dalla vergogna.
Per arrivare a tempi più recenti, c’è pure “Bird box”, quel film in cui Sandra Bullock gira costantemente con una benda sugli occhi perché il mondo è invaso da mostri e, a quanto pare, proprio guardarli ti fa morire.
Poi, sempre intramontabile, c’è la famosa frase: “Smetti di toccarti o diventi cieco!”
La punizione comincia dagli occhi e finisce con gli occhi.
Dunque, quando i miei alunni mi chiedono perché Orfeo non ha aspettato e si è voltato a guardare Euridice, potrei rispondere che è un tema ricorrente, per poi snocciolare la carrellata di esempi illustri in questo senso.
La verità però è che rispondo a loro che non lo so perché Orfeo si è voltato.
E no, i prof non sanno tutto ed io per prima non so molte cose.
Non so cosa ci spinge a volere ancora, con tutte le nostre forze, qualcuno che ti ha trattato male, non so perché, un giorno, una persona che hai creduto per tanto tua alleata, tua compagna, ti tradisce nel peggiore dei modi possibili, non so perché un amore inizia, o perché finisce, non so perché a volte ci comportiamo da stupidi, specie se innamorati.
E forse è meglio che risponda così, perché sono tutte cose che i miei alunni ancora devono scoprire e che tanto nessuno di noi, come Orfeo stesso, saprà mai.
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