Almeno un milione di scale

Penso che abbiate già capito di che sto per parlare.

Certo, oggi questa poesia è un po’ inflazionata. Però questo non mi sembra un motivo sufficiente per ignorarla.

I ragazzi di solito non la conoscono, specie quelli di seconda superiore.

Io la uso per la prima lezione sulla parafrasi.

L’esercizio della parafrasi può essere una di quelle cose noiosissime, almeno per chi non sa che è anche un esercizio di libertà.

Non è solo quella piaga delle scuole medie quando per compito ci danno 150 versi da parafrasare sulla morte di Patroclo. Serve invece per conoscere un testo, per scardinarlo e scoprire un po’ la sua formula chimica, riscrivendolo e scrivendoci sopra. Non c’è libertà più grande se non rimaneggiare un classico, se ci pensiamo.

Così di solito non dico nulla, non racconto niente di Montale e della sua Mosca. Sbatto semplicemente davanti ai miei studenti questi versi nella loro granitica ineluttabilità:

“Ho sceso, dandoti il braccio, almeno un milione di scale/ e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.”

Tutti rimangono in silenzio quando leggo.

Ci vuole un attimo infatti a capire che le molteplici scale sono un’iperbole che racconta una vita intera e l’immagine richiama chiaramente due vecchietti che si tengono sottobraccio che, sempre insieme, tremolanti e malsicuri, affrontano tutto ciò che c’è da affrontare, senza paura.

I ragazzi non lo sanno ancora, ma Montale e Drusilla Tanzi non hanno passato la vita insieme, non proprio almeno.

Erano amici, si conoscevano da un sacco, si piacevano pure, ma lei era sposata, quindi non si poteva.

E allora vivono le loro vite come rette parallele, mai destinate a toccarsi, apparentemente. Drusilla con il suo matrimonio, Montale con i suoi casini, le sue innumerevoli donne, le poesie.

Finché, ad un certo punto, Drusilla diventa vedova. Lei e Montale sono ormai entrambi vecchi, ma non importa, si sono amati da lontano per così tanto tempo che decidono di sposarsi subito.

E sarebbe tutto molto bello se non fosse che, dopo solo un anno di matrimonio, lei muore.

E lui è disperato. Così scrive un gruppo di poesie in ricordo della moglie.

Una di queste, la più significativa forse, è proprio quella che vi propongo oggi.

“e ora che non ci sei è il vuoto ad ogni gradino.”

Avete presente quella sensazione tremenda di quanto, appunto, non vediamo un gradino, non sappiamo che è lì e lo manchiamo? È la stessa del dormiveglia, quando sogniamo di cadere e ci svegliamo di soprassalto.

È un trauma, sentiamo quel vuoto fortissimo nel petto e nello stomaco, sembra che ci voglia trascinare via nel suo gorgo.

È pazzesco come Montale riesca in una frase a descrivere alla perfezione l’assenza della moglie e i suoi effetti terrificanti.

“Questa poesia parla sicuramente di un amore finito male.”

“Sì, lui ci sta ancora sotto.”

I miei alunni intanto provano a indovinare.

“Anche così è stato breve il nostro lungo viaggio./ Il mio dura tuttora.”

Come fa un viaggio ad essere breve e lungo al tempo stesso? Ovviamente Montale si riferisce al fatto che, per quanto possa durare il tempo di una vita, lui non ne ha avuto abbastanza per stare con lei. E non gli sarebbe mai bastato, neanche se avessero trascorso insieme duecento anni.

“Prof, ma non è che la donna del poeta è morta?”

Di solito a questo punto capiscono ed io annuisco debolmente: hanno capito, sì, ma quella che sto dando loro non è una bella notizia. Così, sempre in silenzio e tutti insieme, partecipiamo al dolore di Montale, a colpi di parafrasi.  

“né più mi occorrono/ le coincidenze, le prenotazioni,/ le trappole, gli scorni di chi crede/ che la realtà sia quella che si vede.”

Comincia qui il tema della vista, in bilico tra significato letterale e metaforico: la realtà è quella superficiale? È quella che ci basta cogliere con un solo colpo d’occhio?

I ragazzi di solito sono sicuri quando faccio questa domanda: assolutamente no.

“Ho sceso milioni di scale dandoti il braccio/ non già perché con quattr’occhi forse si vede di più.”

Non ti ho scelto come compagna solo perché in due le cose sono più facili, perché, quando andiamo alla Coop, tu parcheggi la macchina ed io porto su la spesa. Non c’è un motivo razionale o conveniente nello scegliere te, anzi.

“Con te le ho scese perché sapevo che di noi due/ le sole vere pupille, sebbene tanto offuscate,/ erano le tue.”

Drusilla era terribilmente miope e, per questa ragione, portava un paio di occhiali spessi che la facevano tanto somigliare a una mosca. “Mosca”, così la chiamava affettuosamente Montale.

E lei, nonostante la sua miopia, era l’unica a vedere le cose esattamente come stavano.

Niente fronzoli, niente storie inutili e trite.

Quei due erano verso la fine delle loro vite, per tanto tempo sono stati lontani, la loro, sulla carta, era una storia che non poteva funzionare.

Eppure oggi siamo ancora qui a parlare di loro che si sono scelti senza ragione, senza cognizione e, per tutta la vita, hanno sempre avuto l’uno dall’altra solo quello che si poteva, non quello che volevano,

Ma grazie a Dio ci sono ancora persone così.

Stamattina, quando ho letto la poesia la prima volta, una mia alunna si è commossa.

Sono passati un sacco di anni da quando lui l’ha scritta, ma sono sicura che Montale e la sua Mosca sarebbero contenti se lo sapessero. 

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