Siamo all’Inferno.
Il canto è il V, il girone è quello dei lussuriosi che sono quelli che in vita hanno dato più importanza all’amore che a tutto il resto.
Fosse oggi probabilmente ci finiremmo tutti in questo cerchio, ma nel Medioevo non era ancora sold out.
Le anime che qui vengono punite sono trascinate da un vento incessante che le sbatte da tutte le parti: come il vento della passione che in vita li ha resi degli ebeti totali.
E in quella bufera Dante vede dei personaggi della storia e della letteratura, tutti macchiati della stessa colpa: l’amore tremendo che hanno provato.
Due di loro però catturano la sua attenzione perché, nonostante le botte continue del vento, continuano imperterrite a viaggiare l’una accanto all’altra. Io li immagino per mano, anche se in realtà sono anime e le anime non credo abbiano le mani.
Così Dante, incuriosito, vuole parlare con loro. Virgilio, la sua guida, gli spiega che sono Francesca da Rimini e Paolo Malatesta e la loro storia è tristissima.
I due accettano di parlare, anzi è Francesca che lo fa, mentre Paolo le sta accanto e non fa altro che piangere. Inutile dirlo, pure Dante lo sapeva, le donne hanno una marcia in più.
Questa storia inizia con un matrimonio combinato, quello tra Francesca e Gianciotto Malatesta, il fratello di Paolo. Gianciotto era brutto e zoppo, a quanto pare, e, vedremo in seguito, neanche troppo affabile.
Solo che a portare l’offerta di matrimonio a Francesca non si presenta lui in persona, ma viene mandato suo fratello Paolo che, diciamolo, è un gran figo.
Quando Francesca vede Paolo, e pensa si tratti di Gianciotto, il suo promesso, non ci deve pensare due volte, accetta subito il matrimonio combinato e pensa pure di aver avuto un gran culo. Non vi potete immaginare, allora, con che razza di cessi i genitori combinassero matrimoni per le figlie.
Ben presto però arrivano le nozze e con loro viene anche fuori la natura del disguido. Solo che ormai è troppo tardi: Francesca si sposa, ma continua a nutrire dei sentimenti per suo cognato.
Del resto era stato un colpo di fulmine e raramente si può porre un velo di razionalità su eventi di questa portata.
Fatto sta che i due si frequentano, ma non c’è nulla di male, del resto sono parenti, o almeno così sembra.
“Noi leggiavamo un giorno per diletto/ di Lancialotto come amor lo strinse;/ soli eravamo e sanza alcun sospetto./ Per più fïate li occhi ci sospinse/ quella lettura, e scolorocci il viso;/ma solo un punto fu quel che ci vinse.”
Un giorno quei due stavano leggendo un libro insieme. Okay, non era un libro qualsiasi, era il libro che parlava di Lancillotto e Ginevra, storia di un amore adultero, perché si dà il caso che Ginevra fosse la moglie di re Artù e Lancillotto fosse il suo miglior cavaliere.
Comunque sia, i due stanno leggendo e nessuno si aspettava che succedesse niente, ma poi, insomma, l’atmosfera, la storia… ogni tanto si lanciano qualche occhiata, ma subito, vergognosi, fanno entrambi retromarcia. Sappiamo tutti che accadrà, forse ora lo sa anche Francesca, ma il punto di non ritorno deve ancora arrivare.
“Quando leggemmo il disïato riso/ esser basciato da cotanto amante,/ questi, che mai da me non fia diviso,/ la bocca mi basciò tutto tremante./ Galeotto fu ‘l libro e chi lo scrisse:/ quel giorno più non vi leggemmo avante.”
È un po’ come quando portiamo una tipa al cinema. O almeno quello che speriamo che accada. Si baciano quelli nel film, ci baciamo anche noi in sala. E succede così anche ai nostri sventurati protagonisti.
Lancillotto bacia il sorriso di Ginevra (che bello, Dante non dice la bocca o le labbra, lui le bacia il sorriso!), e così anche Paolo prende coraggio e bacia Francesca, sua cognata, l’ultima persona al mondo che avrebbe dovuto baciare.
Colpa del libro, certo, “quel giorno più non vi leggemmo avante.” Questa è una mossa del pudore di Dante: si limita a dire che quel giorno non hanno più letto, ma sì, a tutti, anche a chierici medievali è chiaro il perché. È un po’ l’equivalente di quando nei film vediamo due che entrano in casa appassionati e incollati e poi, stacco, e li rivediamo al mattino con le lenzuola sotto alle ascelle. Anche la nostra epoca è bella bacchettona, fidatevi.

Fatto sta che i due iniziano una relazione clandestina e, come nella maggior parte degli amori folli e totalizzanti, neanche loro non si sanno spiegare il perché.
“Amor, ch’al cor gentil ratto s’apprende”
No, non c’è nessun topo in questa storia. Significa solo che l’amore s’attacca, rapisce chi ha un cuore gentile, chi è naturalmente disposto ad amare in modo puro. E questa è l’unica giustificazione che i due amanti si possono dare.
“Amor, ch’a nullo amato amar perdona,/ mi prese del costui piacer sì forte,/ che, come vedi, ancor non m’abbandona.”
Forse tra i versi più famosi della Commedia. Essere amati tantissimo e sinceramente non ti può esimere dall’amare a tua volta. E Francesca ama Paolo così tanto che, anche ora che sono finiti all’Inferno, quel sentimento non la lascia.
“Amor condusse noi ad una morte./ Caina attende chi a vita ci spense.”
Amore e morte non sono solo uno dei binomi più fortunati della letteratura, per Paolo e Francesca si tratta della triste realtà. A quanto pare infatti, un giorno Gianciotto li becca, ma li becca proprio. E allora, estrae la sua spada e li trafigge entrambi, uno spiedino di amanti, il modo più tremendo e romantico di morire insieme.
Come sappiamo Paolo e Francesca finiranno all’inferno nel girone dei lussuriosi, uno dei primi cerchi infernali. Gianciotto invece finirà molto più giù, “Caina attende”, tra i traditori dei parenti, una delle colpe più gravi da scontare nei regni ultraterreni.
Dunque Dante, scrivendo questo pezzo ha già dato la sua opinione in merito, ma non basta qui.
Dopo aver sentito questa storia, lui sviene.
“E caddi come corpo morto cade.”
Gli accade per ben tre volte all’Inferno. E certo, non si trova in un posto facile, ma non è quello il motivo del suo mancamento. La ragione è la pietà e la partecipazione emotiva che prova nei confronti dei due giovani amanti.
La società del suo tempo li condanna, loro sono degli adulteri, fanno schifo agli occhi della morale medievale. E Dante è uno rispettoso ma, nonostante questo, non può evitare di stare male con loro, empatizzare, diremmo ora.
E Dante viveva in un periodo storico veramente difficile.
E allora mi chiedo, se lui non giudica e, anzi, cerca di mettersi nei loro panni, come ci permettiamo tutti noi di mettere alla gogna gli amori altrui? Di qualsiasi natura essi siano.
E allora, da questo momento, prima di parlare e giudicare qualcuno per quello che prova, pensiamo a Dante. Lui sì che era avanti.
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