Ok, Baudelaire non fa parte della letteratura italiana, ma nulla mi vieta di parlarne in classe, anche se io in francese manco so leggere.
Baudelaire era un emarginato della peggior specie, ossia di quelli che, con i suoi eccessi, si emargina con le proprie mani.
Oggi purtroppo risulta un argomento un po’ tamarro, di grande moda negli stati di Facebook che, per altro, sono essi stessi da boomer: “Leggo i fiori del male a lume di candela e poi medito il suicidio”.
Ma Baudelaire non è solo questo.
Che poi già “I fiori del male”, anche se non ci pensiamo più, è un titolo più unico che semplicemente spettacolare. Ormai è diventato un brand, quasi un’espressione vuota che, a forza di pronunciarla, perde un pezzo del suo significato. Ma come ti viene in mente di associare una cosa bella come i fiori al male? È geniale da quanto ferisce quest’immagine.
Spesso vedo tanti ragazzini e tanti adulti che sono esattamente così, come Baudelaire. I Baustelle l’hanno anche scritto in una canzone.
Sì, il mio consiglio è sempre di non emularlo perché fondamentalmente lui ha condotto una vita dedita all’alcool, agli stupefacenti in genere, e al sesso con chi capitava e poi è morto male, paralizzato dalla sifilide. Ma, in questo caso, la sua vita, come la sua poesia erano una protesta a una condizione ingiusta, senza tribunale, senza appello.
Pur essendo morto alla fine dell’Ottocento, anticipa la crisi degli scrittori del Novecento che cercano un ruolo per la poesia e per il poeta nel Secolo Breve.
“Ma prof, la poesia oggi non esiste!”
E infatti è proprio per questo che Baudelaire levava la sua ribellione.
In una società veloce e massificata, dove tutto è merce, anche le parole d’amore, che posto c’è per uno che di parole vive? Che futuro c’è per qualcuno che ha così tanti pensieri e immaginazione da non riuscire a contenerli e aver bisogno di riversali sulla carta?
È quello che ho pensato spesso io da piccola, quando mi sentivo sola con i miei pensieri spaventosi e giganti ed è quello che spesso vedo negli occhi di certi miei studenti che hanno sogni alti e presi a costantemente a calci.
A Baudelaire i calci non piacevano, perciò faceva da solo.
C’è una poesia che spiega bene questa condizione e vale, credo, per chiunque non si senta compreso.
Si chiama “L’Albatro” e parla appunto di questo grosso uccello oceanico, dalle ali grandissime, un figo in volo, il “re dell’azzurro”, ma goffo in terra perché le sue ali troppo grandi lo fanno camminare in modo buffo.
Dunque questo albatro viene posizionato da un gruppo di marinai burloni sul ponte della nave, qualcuno gli mette una pipa in bocca e lui comincia a zoppicare. Tutti ridono di lui, “lo storpio che volava”, così lo chiamano.
All’ultima strofa arriva la grande intuizione:
“Il Poeta è come lui, principe dei nembi/ che sta con l’uragano e ride degli arcieri;/ fra le grida di scherno esule in terra,/con le sue ali da gigante non riesce a camminare.”

Il poeta e l’albatro si somigliano perché sanno stare con l’uragano. Stare con l’uragano… ma quante persone ne sono veramente capaci?
Quando sono in cielo, sono i migliori, hanno capacità che nessuno possiede, anche se magari a quindici anni – e mi riferisco a miei alunni, non ai poeti maledetti – queste qualità non contano niente. E infatti, dopo il volo perfetto, all’altezza dei sogni, della poesia, segue lo schianto con la realtà, con la terra, dove ci sono le prese in giro dei marinai, della società e dei compagni.
Queste persone, poeti, perdenti, maledetti, uccelli oceanici, sognatori, quindicenni disadattati hanno tutti una cosa in comune, la capacità di volare.
Sarebbe giusto s’incontrassero in cielo, chissà, il loro triste destino è però quello di mancarsi sempre e di condurre spesso una vita solitaria, in attesa di.
Baudelaire lo sapeva, l’albatro se ne rende conto, pure io lo so, ma quello che non so è come spiegare l’inevitabile a certi miei allievi che hanno negli occhi sogni e desideri più grandi di loro.
E allora concludo la lezione soltanto come farebbe Gianni Celeste: “Povero albatro!”
E tutti ridono e ridono anch’io, perché ridere, invece, è un dono per tutti.
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