Il canto di Primo Levi

Scrivo tre nomi alla lavagna.

Non solo perché è il Giorno della Memoria (è stato), ma perché questa lezione è quella a cui sono più legata.  

Sì, si parla di Shoah, ma anche di letteratura. Quella è dappertutto.

I tre nomi, dicevamo, sono ULISSE, DANTE e PRIMO LEVI.

“Cos’hanno in comune questi tre signori?” chiedo alla classe.

Vediamo intanto chi sono.

Il primo, Ulisse, è l’uomo dal multiforme ingegno, così lo chiamava Omero quando raccontava dei suoi viaggi. Quello che ha fatto vincere ai Greci la guerra di Troia, lo stesso che, per colpa degli dei avversi, ci mette dieci anni per tornare a casa.

Ciò che non tutti sanno è che la storia di quest’uomo così sveglio non finisce a Itaca con Penelope e il pratico letto scavato nell’ulivo.

No, di certo, perché Ulisse era uno di quelli a cui friggono i piedi e la sua sete di conoscenza, la sua curiosità, non potevano far altro che spingerlo a viaggiare ancora.

Ci racconta della sua fine Dante che piazza Ulisse nell’Inferno della sua Commedia.

Ulisse si trova, anacronistico e sempre uguale a se stesso, nell’ottava bolgia dell’ottavo cerchio, tra i consiglieri fraudolenti. Lì i peccatori sono imprigionati in una lingua di fuoco che arde perenne perché nella vita hanno usato la lingua, appunto, per tramare inganni.

Ulisse è punito per la storia del cavallo che ha fregato i Troiani, ma non solo. È lui stesso che racconta al Dante-pellegrino dell’orazione con cui ha convinto un manipolo di uomini a seguirlo fino alle Colonne d’Ercole.

Quello era il simbolo del limite umano, le Colonne d’Ercole indicano il punto in cui il mondo finisce, luogo precluso a qualsiasi essere umano dotato di cognizione. Ma Ulisse è avventato perché, più di ogni altra cosa, vuole sapere.

“Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”

Che, alla spicciola, significa che non siamo animali e che il sapere, la soddisfazione della nostra curiosità, è la cosa più alta che possiamo cercare.

La conoscenza prima di tutto.

Così, con queste parole, Ulisse convince un pugno di compagni di viaggio e firma allo stesso tempo una doppia condanna.

Oltre all’inferno, ovviamente, prima viene la condanna a morte. Infatti, Dante ci racconta, non appena il gruppo giunge a destinazione e intravede una montagna, che è quella del Purgatorio, non c’è più scampo per nessuno di loro.

Non esiste uomo, infatti, che possa raccontare di essere stato vivo in presenza di quello spettacolo.

È così che un vortice, un mulinello, si muove dal mare e aspira nel gorgo la nave e tutto il suo temerario equipaggio.

Le ultime parole dell’uomo multiforme a Dante sono: “infin che ‘l mar fu sovra noi richiuso”

Io mi immagino un sipario che si chiude proprio sulla prua dell’imbarcazione.

Okay, allora Ulisse e Dante sono legati.

Ma che c’entra Primo Levi? E soprattutto, che c’entra il Giorno della Memoria?

Lui era un chimico con una grande passione per le lettere. Un cervello bifronte, dico sempre io, quando penso che, chi ha attitudine per le materie scientifiche, difficilmente ne ha anche per quelle umanistiche. Perché si tratta di due modi opposti di pensare, di risolvere i problemi della vita e lui, inspiegabilmente, li adopera entrambi allo stesso tempo.

È un’altra però la faccenda per cui viene ricordato.

Ha ventiquattro anni quando viene deportato nel campo di concentramento di Auschwitz. E lì, ve lo dico già, sarà proprio la cultura a salvarlo. Prima di tutto perché Primo sa un po’ il tedesco, il che è un grande vantaggio quando le guardie ti urlano contro e ti danno ordini solo nella loro lingua.

In secondo luogo, dopo un anno di lager, lui è annientato, sia nello spirito, sia nelle forze. Sa bene che non riuscirà ad affrontare il freddo di un altro inverno in Polonia.

Questa volta è proprio la sua materia a salvarlo, quelle formule che lui tanto amava: un test di chimica, sempre in tedesco, gli permette l’accesso alla Buna, dove si fa la gomma e, soprattutto, dove si lavora al chiuso.

Dunque alla fine Primo Levi si salverà e tornerà nella sua Torino.

Il dolore però durerà ben oltre l’esperienza del campo.

Da prigioniero il suo sogno ricorrente era quello di tornare a casa. Sì, tornare a casa e raccontare la sua storia e constatare che nessuno gli credeva.

Così, quando torna sul serio, si mette a scrivere e produce un romanzo lucido, chiaro, anche se crudo nel suo realismo. Spiega ciò che gli è successo nel campo. Si tratta di uno dei libri più significativi sull’argomento.

Nel ‘47 lo pubblica, ma nessuno (o quasi) lo caga, fino agli anni ’60, quando finalmente Einaudi lo rende famoso. Era il tempo della ricostruzione, troppo buia la vicenda di Levi. O forse troppo grande la vergogna collettiva.

Il triste epilogo di questa storia è che lui, nell’87, molti anni dopo la liberazione, si suicida.

“La guerra è sempre” scriveva in uno dei suoi capolavori. E forse è proprio questa la ragione per cui decide che non si può andare avanti.

Dunque cosa c’entrano questi tre personaggi l’uno con l’altro?

È proprio Primo Levi a riunire gli altri due in un capitolo molto bello di “Se questo è un uomo”.

Il titolo del romanzo dice già tutto. La prima cosa che accadeva al tuo arrivo nel campo di concentramento è che ti tatuavano un numero sul polso. Non più un nome, ma una matricola, non più esseri umani, ma “pezzi”.

È più facile commettere atti atroci se davanti non hai delle persone, se riesci a disumanizzare i prigionieri al punto che la loro vita non esiste, non conta più niente. È il terrificante motto del nazismo, quello che ha trasformato persone normali, padri di famiglia, in carcerieri spietati.

“Se questo è un uomo”.

Primo Levi non si sentiva più un essere umano da un pezzo ormai.

E poi arriva “Il canto di Ulisse”.

Ci sono lui e Jean, uno studente alsaziano. I due devono trasportare la marmitta della zuppa, per i rancio del reparto chimici, sostenendola con delle stanghe appoggiate sulle spalle. Cammineranno in questa maniera per circa un chilometro.

È un lavoraccio. È senza senso, come tutto nel lager.

Solo che in quel momento a Primo viene in mente il Canto di Ulisse, quello in cui Dante racconta del folle volo che ha portato il prode e il suo equipaggio alla morte.

Vuole raccontarlo a Jean. Dante però non è facile per gli italiani, figuriamoci per chi parla tedesco o francese, e poi la marmitta pesa un sacco e la situazione non è favorevole.

Eppure Primo si sforza, prova a ricordare i versi a memoria, cerca di tradurre per il suo amico, di spiegare i passaggi più difficili.

Intorno a loro è tutto davvero folle e le urla in tedesco, i lamenti in tutte le lingue si mescolano ai versi della Commedia e all’urgenza del nostro protagonista di ricordare.

Tre grandi uomini insieme, accomunati fondamentalmente dalla sete di conoscenza, perché è il desiderio di sapere che ci distingue dagli animali.

“Fatti non foste a viver come bruti, ma per seguir virtute e canoscenza”

Così mentre Primo ricorda, parla e racconta, ecco che succede un miracolo.

Al di là delle botte, del freddo, del dolore, di qualsiasi soluzione finale sia stata pensata per lui, ecco che Primo Levi ricorda che lui è ancora un essere umano.

In quel momento, seppure più prigioniero che mai, lui si sente di nuovo libero, per un attimo, per un chilometro soltanto.

E questo è possibile grazie a Dante, a Ulisse, alla letteratura.

La letteratura, quella che ti può salvare la vita.

Spettacolare poi è il finale di questo capitolo, che mette insieme tutto quanto, tragico epilogo compreso – noi ora sappiamo – per tutti e tre gli uomini.

“Siamo oramai nella fila per la zuppa, in mezzo alla folla sordida e sbrindellata dei porta-zuppa degli altri Kommandos. I nuovi giunti ci si accalcano alle spalle. ‘Kraut und Rüben?’ – ‘Kraut und Rüben’. Si annunzia ufficialmente che oggi la zuppa è di cavoli e rape: ‘Choux et navets.’ – ‘Kaposzta és répak.’

Infin che ‘l mar fu sopra noi rinchiuso.”

Una replica a “Il canto di Primo Levi”

  1. Fantastico pezzo, che racconta di come istinto e ingegno possono complementarsi per raggiungere lo scopo della sopravvivenza oltre ogni orrore e follia.
    Un messaggio importante, che scavalca ogni tempo e ogni luogo.
    Ne abbiamo tanto bisogno adesso.
    Sei bravissima.

    Piace a 1 persona

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