“Potremmo mangiare una pizza, piuttosto che uscire con gli amici, piuttosto che andare al cinema…”
No.
Vi prego, no.
Qual è il problema?
Il problema è che spesso questa locuzione congiuntiva (così si chiama nel gergo) viene usata con valore disgiuntivo, per sbaglio, quando non ha nulla di disgiuntivo.
Disgiuntivo è una parola difficile per dire “o”, per fare una scelta, proporre un’alternativa. Insomma, non è affare da “piuttosto che”.
Per sua natura va usato solo in funzione avversativa o comparativa:
“Piuttosto che uscire con te preferisco mettere le dita nella presa.”
Ecco, questo è il suo vero ruolo, suona anche più rock, se ci pensate.
Questo è un errore balordo, una voragine nella terra con sopra un bel tappetino rosso.
In linguistica lo possiamo chiamare “ipercorrettismo”, comune soprattutto nel nord Italia.

“Si può fare una bella lezione su Dante, piuttosto che su Petrarca, piuttosto che su Boccaccio…” AAAAAA!
Fa urlare, sì, perché è sbagliato, ma sembra giusto, sembra colto, più elevato rispetto allo standard. È un errore che fa arrabbiare perché lo commette chi vuole impreziosire il discorso e, nel tentativo, finisce fuori strada.
Per qualche ragione bizzarra questo “piuttosto che” suona forbito, speciale. Così pare naturale utilizzarlo nel maggior numero possibile dei contesti linguistici. Il “piuttosto che” ti dà un tono, come la sigaretta appesa alle labbra all’uscita del liceo.
La cosa pazzesca è che impossibile stabilire un confine, porre un discrimine, perché il “piuttosto che” lo usano tutti a caso, soprattutto i professionisti, laureati, dottori, pure dei giornalisti o professori.
E se lo usano loro sarà giusto, no?
No.
E pure io, che sono liberale per quanto riguarda il modo di esprimersi, mi trovo a disagio di fronte a questo errore. Perché parlare con parole che non ci appartengono è come imbrogliare, indossare a forza i vestiti di un altro: di solito manco funziona perché, quanto gli abiti sono troppo grandi o troppo stretti, si vede.
È vero non abbiamo buoni esempi, ma una buona azione facciamola comunque: evitiamo di riempire i nostri discorsi di sciocchezze e ricordiamo, le cose che abbiamo da dire, quelle importanti, non sono fatte per forza di parole alte, o presunte tali.
Io sono innamorata delle parole, ma le migliori conversazioni della mia vita sono state a parolacce e grugniti.
Piuttosto che usare il “piuttosto che” con valore disgiuntivo preferisco non parlare.
Fine delle trasmissioni.
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