L’importanza di essere GLI, LE o LORO

Che la lingua italiana sia un po’ maschilista è un fatto concreto.

Non è la sola, per carità, ma ben sappiamo che, a un gruppo nutrito composto da maschi e femmine, ci si rivolge al maschile.

“Ragazzi, l’uscita è da quella parte.”

Se noi usassimo, con lo stesso gruppo, l’appellativo “ragazze” non cambierebbe nulla nel messaggio, l’uscita resterebbe sempre nello stesso posto. Forse però gli uomini presenti si sentirebbero in qualche modo sviliti.

Il che è strano, nessuna donna si offende se le si rivolgono al maschile quando fa parte di un gruppo misto.

Ricordo che lavoravo in una scuola in cui la direttrice, per questioni di parità di genere, credo, si affacciava in sala docenti dicendo frasi come: “Formatrici, andate in classe”.

E questo generava ilarità o fraintendimento, ossia, solo le prof femmine devono andare in classe?

Comunque non è questo il punto.

Il vero malinteso avviene nei confronti dei pronomi atoni, complemento di termine.

A chi?

“Ho parlato con Paolo e gli ho detto di farsi i cazzi suoi.”

Fin qui tutto ok. Paolo è maschio e con quel “gli” intendo “ho detto A LUI”.

Però, purtroppo, la consuetudine del “gli” si estende, forse per pigrizia, a diverse situazioni linguistiche.

“Ho incontrato Paola e gli ho detto di farsi i cazzi suoi.”

“Ho incontrato Paolo e Paola e gli ho detto di farsi i cazzi suoi.”

No.

Non è una questione di intolleranza o di femminismo a tutti i costi, ma di comprensione.

Il pronome atono per il femminile è “le” –> “le ho detto” –> “a lei”.

Tendiamo a dimenticarlo soprattutto nell’oralità, pensando che “gli” sia come un paio di jeans, un capo sobrio che va bene per tutte le stagioni, ma la verità è ben differente.

Il caso più controverso però è l’ultimo citato, quello del plurale.

L’espressione corretta in questa circostanza sarebbe: “Ho incontrato Paolo e Paola e ho detto loro di farsi i cazzi propri.”

A parte la sostituzione di “suoi” con “propri”, per cui servirebbe scrivere una cosa a parte, il problema è sempre lo stesso: la praticità.

“Loro” infatti è un pronome bisillabo, quindi comporta una spesa maggiore, di articolazione, aria e fatica. E fidatevi che, nell’economia di una lingua, questi sono costi da tenere in conto.

Inoltre è da posporre al verbo, cosa che, oltre a un grande sbatti, provoca quel fenomeno fastidioso per cui il parlante si sente pretenzioso, snob forse, quando pronuncia una frase del genere.

La grammatica si sta rilassando su questo punto e, ormai prostrata dai quotidiani errori di parlanti e scriventi, dichiara sui vari manuali e siti: “fate un po’ quello che vi pare con questi pronomi”.

Io però sono di altro avviso.

L’uso intercambiabile di “gli” con “loro” genera incomprensioni e questo è lo sgarbo più grande che possiamo fare a una lingua.

“Ho incontrato Paolo e Paola e gli ho detto di farsi i cazzi suoi.”

Chi è che deve farsi i cazzi suoi?

Teoricamente solo Paolo, perché è maschio. Però potrebbe essere anche solo Paola perché, abbiamo già detto, “gli” nelle conversazioni colloquiali sostituisce spesso “le”.

Per la stessa ragione, quelli soggetti all’ammonimento potrebbero essere entrambi, chi può dirlo.

Ecco il motivo per cui l’uso corretto della lingua è importante.

Perché, senza, io non posso capire chi si deve fare i cazzi suoi e, con i tempi che corrono, questa mi sembra un’informazione fondamentale.  

3 risposte a “L’importanza di essere GLI, LE o LORO”

  1. mi piacciono i commenti personali che inserisci nel testo. bellissime anche le immagini. dove le hai prese?

    Piace a 1 persona

    1. Grazie 🙂 le immagini che accompagnano i post sono collage che faccio io 😉

      Piace a 1 persona

      1. sei bravissima. anche io sono una prof, scrivo post molto simili ai tuoi

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